Il 2006 si chiuderà con un nulla di fatto. E per la definizione dello status occorre aspettare perlomeno la fine del gennaio 2007. Sale il discontento in Kosovo e cresce la diffidenza nei confronti della comunità internazionale
Il capo-negoziatore Martti Ahtisaari non viene più visto in Kosovo come il Babbo Natale che porterà l'indipendenza. Al contrario. Tra i cittadini del Kosovo iniziano a sorgere dubbi sulla vera essenza della sua missione. La decisione di posticipare la definizione dello status, prevista per la fine del 2006, è stato uno degli elementi che li sta portando a queste considerazioni. “Non credo che la questione dello status la risolva Ahtisaari. Questa è una bugia dell'Europa, e non è la prima volta che viene ripetuta”, afferma Sami Sadiku, un cittadino di Pristina.
Feim Rushit, un ragazzo di trent'anni non la pensa diversamente. “Quanto fatto da Ahtisaari non è da noi accettabile. Sa bene in che condizioni stiamo vivendo. Siamo vittime di uno status quo che da sette anni non porta che disoccupazione e povertà”. Per strada, nella capitale kosovara, la pensano più o meno tutti così. Affermano di aver ricevuto da Ahtisaari una dura delusione, in particolare perché è stata proprio la Serbia ad averla vinta sul posticipare la decisione sullo status. In molti si dicono arrabbiati anche con la classe politica kosovara. “I nostri politici sono ciechi”, afferma Sami Sadiku “devono mettersi a fare qualcosa per migliorare la situazione”.
La sera precedente all'annuncio che la proposta ONU sullo status sarebbe stata presentata solo dopo le elezioni in Serbia, in programma per il prossimo 21 gennaio, i membri del Gruppo negoziale kosovaro avevano preso parte ad una trasmissione televisiva. Nessuno ha parlato con cautela, annunciando in pompa magna che oramai l'indipendenza era certa. Creando così grandi aspettative che in questo periodo stanno andando a braccetto con un innalzamento della tensione. E venendo smentiti, poche ore dopo, dai fatti.
In superficie tutto sembra calmo ma si teme basti una scintilla per far scoppiare il fuoco. Non è l'opinione di qualche isolato analista, è la stessa KFOR a pensarla così. Roland Kather, a capo dell'esercito multinazionale NATO in Kosovo, immediatamente dopo l'annuncio che la questione dello status sarebbe stata afforntata solo a partire da fine gennaio ha specificato che la situazione era calma, “ma non stabile”.
Su tutto il territorio kosovaro è evidente una maggiore presenza dei soldati KFOR, anche se questi ultimi ufficialmente non sono in pre-allarme. Il primo ministro kosovaro Agim Ceku non perde occasione per chiedere ai cittadini di essere pazienti e che i ritardi non muteranno i contenuti delle proposte che verranno presentate da Ahtisaari. “Crediamo si sia sbagliato a posticipare la decisione sullo status, ma siamo convinti che entro la primavera del 2007 il Kosovo sarà indipendente”, ripete spesso il premier.
Ramush Tahiri, un analista politico indipendente, non la pensa così. “Per Ahtisaari aver accettato le richieste della Serbia rappresenta un compromesso che spera porti alla vittoria delle forze democratiche alla prossime parlamentari. E spera che queste ultime accettino per il Kosovo un'indipendenza condizionata”.
Albin Kurti, leader del movimento "Vetevendosje" (autodeterminazione) afferma di non essere stupito da quanto avvenuto, perché era già nell'aria nei circoli internazionali. "Il fatto che sia legato alle elezioni in Serbia dimostra come il Kosovo dipenda in parte ancora da quest'ultima”. Il vero problema, secondo Albin Kurti, consiste nel fatto che il dibattito sulla tempistica sta di fatto allontanando l'attenzione dai contenuti “del pacco che verrà portato da Ahtisaari”.
“La proposta di Ahtisaari dirà chiaramente che il Kosovo non sarà uno stato indipendente e sovrano, non avrà un seggio presso l'Assemblea delle Nazioni Unite, non avrà un proprio ministero degli Esteri, non potrà autonomamente garantire la propria integrità territoriale”.
Subito dopo la notizia che i negoziati erano stati spostati a gennaio – appresa dal Gruppo negoziale kosovaro dai media - c'è stata una picola “ribellione”. Il premier Agim Ceku ha ribadito quanto aveva già affermato in un incontro con l'amministratore Joachim Ruecker: le autorità kosovare erano pronte a dichiarare unilateralmente nell'Assemblea kosovara l'indipendenza.
Una dichiarazione che ha avuto vita breve. Sono intervenuti subito sia Ruecker che il comandante della KFOR. “Ogni atto unilaterale rappresenta un passo controproduttivo”, ha dichiarato il responsabile dell'amministrazione UNMIK.
La pressione sulla classe politica kosovara è tale che nell'Assemblea del Kosovo non si è mai nemmeno discusso della questione dello status. Alla prima seduta successiva alla notizia del posticipo della decisione sullo status il Gruppo negoziale ha chiesto di riferire in parlamento quanto avvenuto, ma non è stato possibile. “Dobbiamo rispettare la procedura parlamentare”, è stata la risposta del Presidente dell'Assemblea Kolw Berisha.
L'unico, ma fuori dai confini del Kosovo, a reagire duramente è stato il primo ministro albanese Sali Berisha. Commentando alcune notizie secondo le quali si starebbe preparando una divisione del Kosovo ha affermato senza mezzi termini che questo “farebbe entrare i Balcani nei giorni più bui della loro storia”. Il premier albanese ha chiesto ufficialmente al Gruppo di contatto di non permettere una eventuale “Repubblica autonoma di Mitrovica” e non permettere che si facciano operazioni chirurgiche territoriali in Kosovo.
Il presidente kosovaro Sejdiu ha affermato che queste dichiarazioni sono del tutto “normali per un paese vicino” ma che comunque il Gruppo negoziale kosovaro non ha alcuna informazione in merito ad un'eventualità di divisione del Kosovo.
Il prossimo 21 gennaio in Serbia si terranno le elezioni politiche. I kosovari devono aspettare almeno altri due mesi per sapere cosa ne sarà del Kosovo. E sembra sempre più diffusa l'opinione che la collaborazione con la comunità internazionale non basti, perché non se ne vedono i risultati.