Grandi manovre per la formazione del nuovo governo in Bosnia Erzegovina, dopo la designazione a primo ministro del serbo bosniaco Nikola Spiric (SNSD). Guiderà una coalizione eterogenea in uno stato a misura di Frankenstein. L'analisi del nostro corrispondente
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Andrea Rossini
Sarajevo
In un qualsiasi paese normale in questi giorni si starebbero valutando i risultati dei primi 100 giorni del nuovo governo, designato dopo le elezioni politiche che si sono tenute nel mese di ottobre. Ma la Bosnia Erzegovina non è un paese normale, e 110 giorni dopo le elezioni non c'è ancora un governo e così non può esserci neanche il bilancio dei 100 giorni. Per come stanno le cose, questo governo non sarà nel pieno delle sue funzioni a livello statale neppure nei prossimi 30 giorni. Gli ottimisti, a dire il vero, dicono che “forse potrebbe”, ma in Bosnia Erzegovina le occasioni nelle quali gli ottimisti hanno avuto ragione si possono contare sulle dita di una mano sola.
Sono due le ragioni essenziali di tale situazione. In primo luogo, naturalmente, ci sono le infinite combinazioni politichesi degli attuali politici. Questi ultimi hanno interpretato la divisione di ministeri e sottosegretariati nei diversi governi (statale, delle entità, cantonale ecc.) esclusivamente come una gara di astuzia, nella quale ognuno cerca di accaparrare quanto possibile per sé e poi, se possibile, anche per il proprio partito. Nessuno si interessa più dei progetti futuri, piani, strategie di sviluppo, organizzazione del lavoro, economia, politica sociale e di tutto quanto promesso agli elettori prima del voto. Oltre a questo, i partiti che, a quanto pare, si sono messi d'accordo per la formazione del governo a livello statale, hanno raggiunto un certo accordo nel quadro di un cosiddetto “partenariato” ma non una normale coalizione, il che significa che in questo gioco nessuno è vincolato a niente e a nessun altro. Consapevoli del fatto che in passato neppure forti coalizioni sono riuscite a resistere, non è difficile prevedere quanto durerà questo raggruppamento, così vacillante e quasi informale, denominato “partenariato”.
Il secondo motivo per il blocco totale, e la giustificazione dei politici per la loro condotta, è ormai vecchio e ben conosciuto: detta molto semplicemente, l'organizzazione costituzionale del nostro Stato è alla Frankenstein. È impossibile per persone sane di mente, sulla base dell'esperienza e della prassi costituzionale europea, avvicinarsi alla logica dell'organizzazione dello Stato in Bosnia Erzegovina. Una cosa simile nella prassi europea non esiste.
Se si aggiunge a queste ragioni la evidente politica di opposizione ad una concezione di Stato funzionale e unitario da parte dei politici della Republika Srpska [RS, una delle due entità in cui la BiH è divisa, ndt], capitanati dal sovrano di questa entità Milorad Dodik [Unione dei socialdemocratici indipendenti, SNSD, ndt] e dai suoi sponsor di Belgrado, il discorso sulla situazione della Bosnia Erzegovina diviene deprimente. La cosiddetta comunità internazionale, in tutto questo discorso, alza semplicemente le mani. La situazione da stato d'assedio in Serbia, con le elezioni che vi si terranno il prossimo week end, e la seguente comunicazione di una soluzione per il Kosovo, è tale da rendere qualsiasi attesa per una azione di una qualche consistenza in Bosnia Erzegovina un'illusione.
La paura dei radicali a Belgrado ha completamente paralizzato i centri di decisione politica nella regione. Dodik, Kostunica e altri incassano ogni giorno la estrema condiscendenza nei loro confronti in nome di un [auspicato] buon risultato elettorale in Serbia. La retorica di Dodik, che la stragrande maggioranza dei partiti fino a tre mesi fa riteneva un semplice “trucco prelettorale”, dopo le elezioni è cresciuta di intensità fino ad un livello raramente sperimentato. Prima il brutale attacco a Doris Pack, e attraverso lei alle istituzioni europee; poi, la dichiarazione secondo cui “il progetto di riforma della polizia è defunto”, insieme alla cinica affermazione che [quel progetto] “aveva portato la Bosnia alle porte dell'Europa”; infine, la dichiarazione di Kostunica secondo cui “la Republika Srpska è una parte indipendente della Bosnia Erzegovina”, hanno segnato in maniera incisiva l'attuale atmosfera politica in Bosnia Erzegovina. Il culmine del cinismo di tutti i discorsi sulla concezione dello Stato, tale quale si può desumere dalla prospettiva di Banja Luka, è stato raggiunto con il ragionamento sulla Lega calcio della Bosnia Erzegovina. Secondo loro, gli allenatori della selezione nazionale devono essere scelti in base alla nazionalità, in modo schematico e predeterminato, il che ovviamente non c'entra nulla con la professione e l'arte calcistica. Il colmo dell'ironia è che Milan Jelic, membro del partito di Dodik, è allo stesso tempo presidente della Lega calcio della Bosnia Erzegovina e presidente della Republika Srpska!
Sullo sfondo di queste posizioni aggressive ci sono per Dodik due importanti circostanze attenuanti. La prima risiede nella situazione obiettiva che domina la seconda entità, cioè la Federazione BiH. Qui i politici e i partiti si comportano come cane e gatto. I problemi sono, prima di tutto, all'interno del partito dell'Azione democratica (SDA) dove lo scontro tra la destra radicale e la cosiddetta linea moderata non è ancora definitivamente concluso.
Profondi disaccordi, in particolare nei cantoni, permangono anche tra i partiti che sono in coalizione: l'SDA (Tihic) e il partito per la Bosnia Erzegovina (SBiH, Silajdzic). I leader di questi due partiti sono costantemente sul campo cercando di costringere i propri dirigenti locali a rispettare la coalizione che è stata firmata a Sarajevo. Ma ci sono molte località dove i dirigenti locali di SDA e SBiH non vogliono neppure sentir parlare di coalizione e di partecipazione congiunta al governo.
La situazione è ancora peggiore tra i partiti che hanno un prefisso nazionale croato. La loro base elettorale è frammentata e divisa tra dieci partiti, e i due maggiori, il “vecchio” HDZ BiH e il “nuovo” HDZ 1990, quasi non riescono neppure a parlarsi. Persino il sostegno da parte della Croazia e della Chiesa cattolica non è uniformemente “distribuito” sotto questo profilo.
Tutte queste sono le ragioni che vengono formalmente addotte dai politici della Republika Srpska per spiegare che la “situazione caotica esistente nella Federazione BiH” rafforza in quanto motivo fondamentale il fatto che “la Bosnia Erzegovina non può funzionare come Stato...”
Oltre alla ben nota paura degli stranieri in Bosnia Erzegovina che la destabilizzazione di Dodik e della RS potrebbe mettere a rischio la “opportunità democratica” per la Serbia, è chiaro che c'è un ulteriore motivo per cui gli stranieri nella regione non sviluppano una critica più energica nei confronti del leader della RS in considerazione della sua brutale retorica. Il quadro dei recentissimi investimenti condotti in RS a condizioni estremamente favorevoli rivela l'interesse della comunità internazionale nei confronti della stabilità della posizione di Milorad Dodik. Negli ultimi tre mesi hanno fatto il loro ingresso in Republika Srpska, dalla porta principale, gli austriaci, con progetti per la costruzione di strade; i russi, con l'acquisto delle raffinerie di Bosanski Brod e di molte altre imprese e impianti legati al petrolio; i cechi con affari enormi nel settore dell'energia elettrica; i tedeschi nell'industria farmaceutica; gli sloveni nel turismo; la Serbia con l'acquisto della Telekom RS (nonostante gli esperti ritengano che anche qui i soldi provengano dalla Russia), eccetera. La semplice logica dice che non bisogna in nessun modo disturbare il partner con il quale si fanno affari con successo. Al contrario, bisogna difenderlo.
Una analisi complessiva della attuale situazione in Bosnia Erzegovina richiederebbe molto spazio. Tuttavia, gli elementi importanti sono del tutto chiari: con le ultime elezioni non sono giunte al potere in Bosnia Erzegovina nuove forze politiche, nè si è aperta una nuova prospettiva. Al contrario, sembra che alcuni vecchi, “classici” partiti nazionali abbiano cambiato politica e politici in una direzione ancor più dura e intransigente di quanto non avvenisse in precedenza. Le promesse sono ben lontane dall'essere avverate e vengono sempre cambiate con promesse nuove, che ugualmente non vengono realizzate. Sembra che l'incertezza sul futuro della Bosnia Erzegovina oggi sia maggiore di quanto non lo sia mai stata da Dayon in poi. Per quanto riguarda lo stato delle relazioni tra vicini (komsiluk), in generale non ci sono motivi per essere tranquilli. Al contrario.