Il muro contro muro tra governo e opposizione ha fatto slittare la data delle elezioni dal previsto 20 gennaio al 18 febbraio. Nel frattempo sul Paese imperversa una pesante crisi energetica. La cronaca della nostra corrispondente
Slittano al 18 febbraio le consultazioni per eleggere i nuovi rappresentanti delle autorità locali in Albania. La notizia è giunta alla mezzanotte del 12 gennaio, dopo quattro mesi di muro contro muro fra maggioranza e opposizione. A sbloccare la situazione sono occorsi i duri moniti di quelle istituzioni internazionali cui la politica e l’opinione pubblica albanese sono tanto sensibili, OSCE in primis. Quest’ultima ha visto esaudita la sua richiesta di posticipare le amministrative, previste per il 20 gennaio nonostante le furiose proteste dell’opposizione socialista, pronta a boicottare le urne.
I precedenti
Dopo otto anni di governo socialista, scanditi da due consultazioni locali svoltesi puntualmente – 1° ottobre 2000 e 13 ottobre 2003 – non si è tornati alle urne nel 2006, un anno dopo l’insediamento del premier Sali Berisha. Un nume avverso sembra osteggiare la regolarità del voto quando il Partito Democratico (PD) è al potere: basti ripensare alle ultime elezioni gestite dalla destra albanese nel maggio 1996, quando la maggioranza stravinse in circostanze a dir poco controverse, compromettendo la reputazione internazionale della giovane democrazia albanese.
Inoltre, l’attuale opposizione socialista è rimasta scottata dall’andamento delle parlamentari del 3 luglio 2005, che secondo alcuni hanno riconsegnato l’Albania al PD con l’aiuto di parecchi brogli (ad esempio certificati falsi coi quali i militanti di destra avrebbero votato più volte). Il commento degli osservatori dell’OSCE-ODIHR – “in queste elezioni l’Albania ha fatto dei passi avanti, benché meno di quanto ci si attendesse” – ha sprofondato l’elettorato di sinistra nella convinzione che i giochi politici albanesi siano sempre e comunque dominati dall’esterno. Convinzione peraltro condivisa dall’intera popolazione, che si ritiene pedina più o meno consenziente delle grandi potenze – USA in testa – e quindi stenta a esercitare i propri diritti di vigilanza democratica sulle istituzioni statali.
Lo scandalo dei certificati
All’appropinquarsi delle elezioni locali, il ministero degli Interni emetteva il Decreto 1306 del 27-07-2006, che dichiarava validi per votare a Tirana i certificati di nascita rilasciati da altri distretti. A fine agosto gli uffici comunali della capitale distribuirono migliaia di certificati coi codici di Elbasan, di Peqin e della remota Dibra. L’opposizione accusò il PD di “istituzionalizzare la falsificazione dei documenti d’identità in un’aperta legittimazione dei brogli”, rimarcando che il governo socialista aveva introdotto i codici distrettuali proprio per circoscrivere tale rischio.
Lo “scandalo dei certificati contraffatti” ha imperversato per tutto l’autunno. Il direttore del Settore Documentazione dell’Anagrafe Generale descriveva le gravi irregolarità dei certificati, dalla differenza di carta, colore e ologrammi all’assenza dei codici distrettuali e comunali. Ritenendo tale documentazione facilmente falsificabile, il PS [Partito socialista] decideva di astenersi dal processo elettorale. Gli uffici comunali di Tirana sospendevano il rilascio dei certificati, mentre i sindaci socialisti rifiutavano di compilare le liste dei votanti appellandosi al Codice elettorale. L’articolo 76/1 prevede che solo i cittadini dotati di residenza eleggano gli organi locali e che i residenti siano registrati presso l’Anagrafe Generale, non nei “registri temporanei” ideati dal ministro degli Interni.
Problemi identitari
La questione dei certificati e dei “registri temporanei” riapriva la polemica sul censimento delle migliaia di inurbati giunti nelle grandi città dopo il crollo del comunismo. Anziché registrare quanti avevano cambiato residenza, il governo degli anni Novanta preferì il
laissez faire, senza tormentare con cartacce e burocrazie quegli immigrati interni che rappresentavano la base elettorale del PD.
Originari in maggioranza del Nord, i nuovi cittadini portavano con sé il patrimonio culturale del Kanun (la legge consuetudinaria albanese), che consiglia la massima riservatezza sull’identità per evitare il coinvolgimento in eventuali faide. Nelle aree montane si era bruscamente passati da cotanta discrezione (e libertà) alla rigida “passaportizzazione” del sistema enverista, che dotava i cittadini di carte d’identità e ne vincolava gli spostamenti interni al fabbisogno di manodopera.
L’avvento della “democrazia” ha precipitato l’Albania in un caos identitario che riguarda anche l’identità giuridica del singolo: parte della popolazione è tornata in un anonimato i cui vantaggi sono l’irreperibilità innanzi alla legge, il dono dell’ubiquità e il voto multiplo. Tuttavia, l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’UE siglato dall’Albania nel giugno 2006 prevede la celere produzione dei documenti d’identità dei cittadini – un impegno che il governo dovrà rispettare.
Le accuse del PD e l’intervento internazionale
Su questi presupposti si basa l’“ossessione” socialista per i certificati d’agosto – ossessione alimentata dalla coincidenza che vuole il ministro degli Interni, Sokol Olldashi, quale sfidante del PD per il Comune di Tirana contro l’attuale sindaco e leader del PS Edi Rama. Nei mesi scorsi il governo ha accusato i socialisti di voler guadagnare tempo in vista di una sicura sconfitta, tacciando inoltre il presidente della Repubblica, Alfred Moisiu, di “passività” innanzi alla crisi pre-elettorale e di “seguire solo gli ordini di Rama”. Moisiu aveva fissato la scadenza elettorale al 20 gennaio, l’ultima prevista dalla Costituzione, mentre i socialisti denunciavano l’inattuabilità di consultazioni eque e la maggioranza minacciava di presentarsi sola alle urne.
Entro la fine dell’anno, la mediazione dell’OSCE-ODIHR ha gradualmente ammorbidito la linea del PS sui certificati: il governo era dunque chiamato ad accettare il posticipo del voto. Il 2007 si è aperto all’insegna del nervosismo delle istituzioni occidentali: un comunicato congiunto di UE, OSCE, Consiglio d’Europa e USA esprimeva “profonda preoccupazione” per l’incapacità albanese di organizzare le elezioni locali. E da Bruxelles Javier Solana rincarava la dose: “la mancata garanzia di elezioni democratiche comprometterebbe l’avvicinamento dell’Albania all’Europa”. Da parte sua, la NATO minacciava di rinviare l’ingresso albanese nell’Alleanza, previsto per il 2008.
La sigla dell’accordo e lo shock dell’incontro Nano-Berisha
Il 12 gennaio, al cospetto del presidente Moisiu, i leader di tutte le forze politiche sancivano il posticipo delle urne al 18 febbraio, per consentire ai partiti di stilare liste elettorali più accurate e all’OSCE di verificarne il contenuto. I certificati d’agosto restano in vigore, ma quelli distribuiti prima di novembre (quando è stato istituito il “registro apposito” per convalidarli) dovranno essere accompagnati al seggio da un altro documento – passaporto, patente, diploma di laurea o di scuola superiore, libretto universitario, dichiarazione dei redditi, licenza professionale o certificato fiscale. Berisha si è prontamente scusato coi suoi elettori del “disagio” che sarà loro arrecato, giustificando le sue concessioni con la necessità di collaborare con la comunità internazionale.
Ma l’opposizione non è riuscita a godersi la sconfitta di Berisha, che il giorno prima aveva tenuto un incontro amichevole con Fatos Nano. L’inconsueto feeling fra i due nemici storici ha turbato il popolo di sinistra, che si è sentito tradito dal suo ex leader. Dopo quindici anni di reciproci insulti e accuse gravissime, senza contare il lustro di reclusione subito da Nano durante la prima era berishana (1992-97), la base socialista non ha apprezzato l’appello congiunto dei due politici a trovare un accordo sulle elezioni. Si direbbe che i grandi capi volessero ribadire il loro carisma, arrogandosi il merito dell’impresa. Resta il fatto che Fatos Nano parla già da presidente della Repubblica e il colloquio con Berisha ha riguardato la sua candidatura a primo cittadino. I giornali di destra hanno commentato che l’incontro fra i due leader getta le basi di un’Albania “davvero occidentale”, per isolare la “sinistra radicale” di Edi Rama e Ilir Meta. Alla stampa di sinistra non resta, come sempre, che spiegare ai suoi lettori la natura intrinsecamente amorale dell’arte politica.
Intanto l’Albania è al buio dalle 8 alle 18 ore al giorno e la popolazione pare lecitamente distaccata dai problemi elettorali. Prima della crisi politica, la gente auspica una soluzione di quella energetica.