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Il ponte

22.01.2008    Da Sofia, scrive Francesco Martino

I Balcani come ponte. Una metafora utilizzata spesso, forse anche troppo. Dopo la visita ufficiale del presidente russo Putin in Bulgaria, arrivato a Sofia giovedì scorso, l’immagine riacquista senso e concretezza in uno dei settori cruciali dell' epoca moderna: quello dell’energia.
Un ponte che collega due partner, Russia ed Unione Europea, legati sempre di più da necessità di ordine pratico, ma che non smettono di guardare l’un l’altro con una buona dose di sospetto e con molti punti di frizione irrisolti.

Putin, in quella che probabilmente sarà la sua ultima visita all’estero nelle vesti di presidente della Federazione russa, prima delle elezioni presidenziali del prossimo marzo, è arrivato in Bulgaria con un corposo fascicolo di accordi da sottoscrivere, progetti che modificano sostanzialmente il rapporto energetico tra Mosca e Sofia, ma che riguardano molto da vicino anche l’Unione Europea e in particolare l’Italia, spettatore molto interessato.

Di alcuni grandi progetti erano stati già definiti i dettagli, e la firma veniva data per certa. Il primo riguarda la costituzione del progettato oleodotto che collegherà il porto bulgaro di Burgas a quello greco di Alexandoupolis, infrastruttura pensata per collegare via terra il mar Nero all’Egeo, e in grado di trasportare 20 milioni di tonnellate l’anno di petrolio russo verso il Mediterraneo bypassando la strettoia dei Dardanelli.

L’altro grande accordo riguarda invece la costruzione della nuova centrale atomica bulgara di Belene, sulle rive del Danubio, non lontano da quella di Kozloduy, i cui due reattori più vecchi sono stati chiusi d'ufficio da Bruxelles, all’ingresso del paese nell’Ue, perché considerati vecchi e pericolosi: una rinuncia che molti, a Sofia, vivono ancora come una ferita aperta al sistema economico e all'orgoglio nazionale.

Il progetto, dal valore di quasi quattro miliardi di euro, è stato assegnato alla “Atomexportstroy”, compagnia controllata dal gigante russo dell’energia “Gazprom”, e secondo i piani dovrebbe consentire alla Bulgaria di ritagliarsi una posizione centrale nella regione come polo di produzione ed esportazione di energia. Putin ha anche assicurato la disponibilità di Mosca a finanziare la realizzazione dell'opera.

Un po’ a sorpresa, è arrivata invece l’intesa sul gasdotto “South Stream” (“Южни поток”). Si tratta dell’affare più sostanzioso, e sicuramente del progetto con le maggiori ricadute a livello europeo. “South Stream” si propone di trasportare ogni anno 30 miliardi di metri cubi di gas russo principalmente verso l’Italia, ma anche verso Austria ed Ungheria, attraverso il mar Nero e la penisola balcanica.

Il Memorandum of Understanding sulla costruzione dell’infrastruttura era stato firmato a Roma, lo scorso giugno, dall’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, e dal presidente della Gazprom, nonché dal delfino di Putin e presidente designato della Federazione russa Pavel Medvedev.

L’accordo tra Russia e Bulgaria, che in questo caso gioca soprattutto la parte dell’intermediario tra fornitore e consumatori finali, è rimasto in dubbio fino alla fine, a causa di divergenze sulla proprietà delle infrastrutture in territorio bulgaro. Lo scoglio è stato sistemato grazie all’intervento personale di Putin, e si è stabilito che il controllo sarà diviso al 50%.

All’annuncio del raggiunto accordo, durante la conferenza stampa congiunta dello stesso Putin e del presidente bulgaro Parvanov, ha assistito, visibilmente soddisfatto, proprio Paolo Scaroni, a dimostrazione dell’importanza data all’evento nella cornice della politica energetica italiana.

Ma se l’accordo è stato salutato da chi lo ha sottoscritto come un risultato di portata storica, fondamentale per la politica di sicurezza energetica, sia regionale che europea, non sono mancate alzate di sopracciglio e commenti ambivalenti o decisamente negativi.

A livello europeo si riconosce pragmaticamente l’assoluta importanza dei rifornimenti di idrocarburi dalla Russia. La crescente dipendenza europea da Mosca in campo energetico, d'altra parte, solleva sempre più spesso voci preoccupate.

Ferran Tarradellas, portavoce del commissario europeo all’energia, Andris Piebalgs, invitato a commentare l’accordo, non ha espresso particolari riserve, a livello ufficiale, da parte della Commissione. Al tempo stesso, però, Tarradellas ha ricordato la priorità data da Bruxelles ad un progetto largamente concorrenziale a “South Stream, il “Nabucco”, il cui scopo è quello diversificare la lista dei fornitori, collegando l’Europa a diversi produttori di gas, soprattutto i paesi dell’Asia centrale, Siria ed Egitto, proprio nel tentativo di smarcarsi dal monopolio energetico di Mosca.

C’è poi chi ha usato parole molto più dirette per bocciare l’accordo. Ad esempio Adrian Severin, leader partito socialdemocratico, principale forza di opposizione in Romania, paese interessato alla realizzazione del “Nabucco”, ha definito l’intesa raggiunta su “South Stream”: “un’iniziativa contro ogni logica europea, sostenuto dall’egoismo nazionale di paesi come Bulgaria e Italia ed utilizzato da paesi che non sono parte dell’Unione, come la Russia”.

La visita di Putin ha lasciato forti strascichi polemici anche all’interno del mondo politico bulgaro, che è tornato a rivivere, seppure in forma meno drammatica, la grande frattura storica che lo ha attraversato, ad ondate diverse, nel corso degli ultimi 150 anni: quella tra russofili e russofobi.

Il presidente Parvanov, socialista, durante la visita di Putin ha ribadito un vecchio concetto a lui caro, e cioè che buoni rapporti con la Russia non vanno a detrimento di quelli con l’Unione Europea. I socialisti, evoluzione politica del vecchio partito comunista ed oggi partner maggioritario della coalizione al governo a Sofia, hanno sottolineato il carattere pragmatico e non ideologico degli accordi presi. Petar Kanev, vice presidente della commissione economia del parlamento di Sofia, nonché presidente dell’associazione di amicizia Bulgaria-Russia, ha detto alla stampa: “con questo accordo, il nostro paese ha difeso dignitosamente i propri interessi nazionali”.

Per l’opposizione di destra, la liaison dangereuse energetica tra Sofia e Mosca rappresenta “l’ennesimo grave tradimento da parte del governo”, una scelta politica che rischia di far tornare la piccola Bulgaria nell’abbraccio soffocante dell'immenso e minaccioso gigante russo.

“Putin vuole approfittare della crescente dipendenza energetica dei Balcani, e lo fa ancora attraverso la Bulgaria, paese che che per quasi cinquant’anni è stato un fedele vassallo dell’Unione Sovietica, e che ora è di nuovo pronto a giocare il ruolo di “cavallo di Troia” di Mosca nella regione ”, ha dichiarato ad Osservatorio Ivan Kostov, leader dei Democratici per una Forte Bulgaria ed ex primo ministro, nel corso di un meeting di protesta tenuto a Sofia in concomitanza dell’arrivo del presidente russo.

“La nostra protesta è anche ideologica, contro una democrazia controllata dal KGB, come è oggi la Russia”, ha proseguito Kostov, “modello verso cui vediamo crescenti elementi di convergenza anche in Bulgaria”.

Anche i movimenti ambientalisti hanno partecipato alle proteste, preoccupati soprattutto dal possibile impatto ambientale dell’oleodotto Burgas-Alexandroupolis. “Trasportare petrolio per nave attraverso il mar Nero, per rifornire l’oleodotto, ne mette in pericolo l’intero ecosistema, anche perché nessuna delle parti in causa ha preso impegni per tutelare l’ambiente in caso di incidenti. In questo condizioni, l’accordo non andava firmato”, ha detto ad Osservatorio Andrey Kovachev, dell'associazione ambientalista "Balkani".

A prescindere dalle diverse interpretazioni, “South Stream” si prospetta di avere un forte impatto sull’intera regione balcanica. Il condotto dovrebbe incanalare il gas russo dalla stazione di compressione di Beregovaya, attraversare in profondità, per 900 chilometri, le acque del mar Nero, per approdare al porto bulgaro di Varna. Da qui dovrebbe dividersi in due bracci principali.

Quello meridionale sembra essere già definito: attraverserà Bulgaria e Grecia, per poi riabbisarsi nelle acque dell’Adriatico e arrivare infine a Brindisi.

Per il ramo settentrionale, invece, vengono presi in considerazione due tracciati alternativi. Il primo attraverso Romania, Ungheria e Slovenia fino all’Italia settentrionale e all’Austria. L’altro, che sembra gradito soprattutto a Mosca, prende in considerazione Serbia e Croazia come paesi di transito.

All’intera operazione non è estraneo l’interesse mostrato con insistenza da “Gazprom” per la privatizzazione della compagnia nazionale serba degli idrocarburi, la “Naftna Industrija Srbije” (NIS), che sta suscitando un acceso dibattito a Belgrado.

L’affare, tema entrato di prepotenza all'interno della campagna elettorale per le elezioni presidenziali, viene sponsorizzato soprattutto dal premier Voijslav Kostunica, e nelle parole di chi lo caldeggia dovrebbe garantire alla Serbia una posizione di sicurezza e centralità all'interno del nuovo panorama energetico regionale.

Il progetto viene però visto da molti analisti come il primo acconto che Belgrado si prepara a pagare a Mosca per l'appoggio assicurato alla Serbia sulla questione kosovara, e molti sottolineano le condizioni davvero favorevoli a cui l'azienda verrebbe ceduta alla "Gazprom".

“La Russia approfitta della nostra posizione delicata sulla questione del Kosovo”, ha dichiarato sabato scorso, a “Danas”, il direttore del centro per il Libero Mercato Miroslav Prokopijevic. “La NIS vale almeno otto miliardi di euro. Svendere per 4-500 milioni il pacchetto di maggioranza del 51%, o vendere l’intera compagnia a Gazprom per un miliardo, rappresenta un enorme danno economico al paese”.

In tutta la regione, politica, energia vanno a braccetto. Sui Balcani, però, il ponte energetico oggi in progettazione non sembra necessariamente in grado di avvicinare chi si affaccia sui suoi due estremi.
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