Di Biljana Korica Vukajlović, Ekonomist, 28 gennaio 2008 (titolo orig.: «Maljčiki»)
Traduzione a cura della redazione di Osservatorio sui Balcani
Il giorno dopo la chiusura di questo numero di Ekonomist, cioè il 25 gennaio, il governo della Serbia, tramite il ministro Velimir Ilic, ha firmato con il governo della Russia l’accordo di collaborazione energetica. Però, la maggior parte dei dettagli sull’”accordo del secolo”, come lo definiscono i suoi sostenitori, e sui quali l’opinione pubblica negli ultimi mesi ha solo potuto tirare a indovinare, rimangono poco chiari anche dopo la sua firma. Si è saputo, a dire il vero, che i russi hanno offerto 400 milioni di euro per l’acquisto del 51 percento della Industria petrolifera della Serbia (NIS), così come mezzo miliardo di euro per la sua modernizzazione, cosa che è stata confermata da Aleksandar Popovic, ministro serbo per l’Energia, con la precisazione che il prezzo finale della compagnia nazionale petrolifera sarà accordata con la controparte russa entro la firma dell’accordo.
Questo documento sulla collaborazione economica tra la Serbia e la Russia dovrebbe fungere da base anche per i contratti sulla realizzazione di un gasdotto e sul deposito sotterraneo di Banatski Dvor, che verranno stipulati dai rappresentanti di Srbijagas e Gazpromeksport. Il valore di base di questi progetti, secondo le parole del ministero, si aggira attorno ai 1,5 miliardi di euro, “ma i dettagli e gli importi esatti si verranno a sapere solo dopo i nuovi colloqui che si terranno nei prossimi mesi”.
Quindi, fino ad allora, molte domande legate a questo accordo strategico probabilmente resteranno aperte, a partire da quella che è forse la più importante, la rotta futura del gasdotto e la sua capacità, fino ai termini temporali per la sua realizzazione, dato particolarmente importante quando si tratta di Banatski Dvor.
La pressione del gas
Nonostante sia quasi interamente completato, il deposito sotterraneo di Banatski Dvor, nel quale si potrebbero stivare circa 800 milioni di metri cubi di gas, o un quarto dei bisogni attuali della Serbia di questa fonte energetica, da anni è vuoto.
Un predatore moderno
Di A. Krajnc
Gazprom, che controlla il 17 percento del consumo di gas mondiale e copre oltre un quarto dei bisogni dell’UE relativi al questo idrocarburo, è nata nel 1989. Poco più del 50 percento del capitale è di proprietà statale. Nel 2005 questo gigante energetico acquistò da Roman Abramovic la Sibnjeft per 13 miliardi di dollari, cifra che rappresenta il più grande acquisto della storia russa. Oltre al core business nel campo energetico, Gazprom fa affari in altri settori: è proprietaria della televisione russa NTV e di un grande numero di giornali russi, del club calcistico Zenit di Pietroburgo, di una compagnia di assicurazioni, di una compagnia aerea, di luoghi di soggiorno turistico sul Mar Nero, e dispone di un esercito privato.
Dmitri Medvedev, presidente di Gazprom, vice presidente della Federazione Russa e principale candidato al posto di presidente alle prossime elezioni, ha dichiarato di recente che Gazprom punta a diventare la più grande corporation al mondo entro il 2017.
Alcuni analisti prevedono persino che Putin e Medvedev si scambino solo i posti e che a partire da marzo alla guida di Gazprom possa sedere l’attuale presidente della Russia. Ecco perché non sorprende che molti amino dire che Gazprom non è una compagnia, ma bensì il Cremlino.
L’intreccio tra la politica del Cremlino e quella di Gazprom è dimostrato dagli eventi del gennaio 2006, quando, prima dell’arrivo di Victor Juscenko al potere, la Russia aveva interrotto la fornitura di gas per l’Europa che transitava attraverso l’Ucraina, evento che portò al balzo in avanti dei prezzi del gas. Un po’ più tardi uno scenario simile si è verificato in Georgia, nonostante al Cremlino neghino di utilizzare Gazprom a fini politici.
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Gli impianti sopra il deposito sono più o meno costruiti, quindi il problema principale per il quale Banatski Dvor “non funziona” è dato dal cosiddetto strato cuscinetto di gas che è necessario pompare nel deposito per avere una base specifica di gas destinato al consumo. Per la creazione di questo cuscinetto servono circa 100 milioni di metri cubi di gas, ma fino ad ora nel deposito è stato stoccato poco più di un decimo della quantità necessaria. Il gas per lo strato cuscinetto di fatto è un capitale morto, ma è una parte irrinunciabile del deposito. Non è chiaro quindi perché i responsabili del progetto, negli anni scorsi, non abbiano investito nella sua creazione, evitando in questo modo la paura di possibili carenze con le quali i consumatori serbi fanno i conti ogni inverno. In particolare se si tiene presente che negli ultimi anni lo stato delle riserve di valuta e delle casse dello stato è del tutto soddisfacente.
Per sapere se Banatski Dvor nell’inverno 2008-2009 verrà finalmente riempito, bisogna vedere quanto dureranno i colloqui serbo-russi sul completamento di questa struttura. Nel caso non dovesse concretizzarsi, la Serbia nei prossimi inverni dovrà “assicurarsi” il gas attraverso l’Ungheria, impiegando per il pagamento delle tasse di transito parecchi mezzi finanziari. Al momento questa tassa, che dipende dal prezzo del gas, si aggira attorno ai 30 dollari per 1.000 metri cubi di gas, come è stato precisato dal ministero dell’Energia ad Ekonomist.
Riguardo al gasdotto, nei giorni scorsi è stato chiarito che sarà principale e di transito. La proposta iniziale dei russi prevedeva che la capacità del “South Stream” attraverso la Serbia fosse di non meno di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Da parte serba, secondo le dichiarazioni dei funzionari locali, si cercherà di “lottare” per un passaggio annuo di non meno di 20 miliardi di metri cubi di gas. I negoziatori, inoltre, si aspettano che Gazprom abbassi il prezzo del gas che arriva in Serbia, e che per il momento sulla frontiera con l’Ungheria raggiunge circa i 330 dollari (più 30 dollari di tasse) per 1.000 metri cubi di gas. Per fare un confronto, il gas in Europa si aggira su una media di circa 200 dollari, la Bielorussia paga circa 105 dollari, mentre l’Ucraina circa 120 dollari per 1.000 metri cubi di gas.
Infine, per far sì che i cittadini serbi avvertano i benefici del transito di grandi quantità di gas attraverso il loro paese, eccetto quelli indiretti delle tasse di transito, lo stato e la Gazprom dovrebbero completare la gassificazione della Serbia.
Il Governo serbo, attraverso il Piano di investimento nazionale, dovrebbe garantire per questo progetto oltre 50 milioni di euro. La gassificazione della Serbia meridionale, tra l’altro, è di competenza di Gazprom. Ricordiamo che come proprietario di maggioranza, la compagnia russa Jugorosgas, ha avuto in concessione la gassificazione della Serbia meridionale, compresa la costruzione del tratto di gasdotto Nis-Dimitrovgrad come rotta alternativa a quella in Ungheria. Fino ad ora, però, di tutto ciò non è stato fatto nulla.
Perdita di tempo
Nel settore del petrolio, resta da vedere se i negoziatori serbi (l’accordo sulla collaborazione energetica dovrebbe essere firmato a Mosca il giorno in cui viene chiuso questo numero di Ekonomist) riusciranno ad ammorbidire la posizione di Gazpromneft, che insiste perché gli standard ecologici europei per la NIS, così come la cessazione del monopolio sull’import del petrolio, non dovrebbero entrare in vigore prima del 2012.
D'altra parte resta poco chiaro quale sarà il destino dei piani e dei progetti in vigore fino ad oggi, già avviati dall’amministrazione della NIS. Alla fine dello scorso anno è stato adottato un piano di affari per il 2008 che prevedeva il rinforzo delle attività di investimento. Secondo le stime dei dirigenti della NIS, questo è l’anno cruciale per raggiungere gli standard europei, motivo per cui è necessario investire 275 milioni di euro per la modernizzazione della raffineria, per la rete di vendita al dettaglio e per la difesa dell’ambiente.
Se i russi nei prossimi mesi assumeranno il controllo della compagnia petrolifera serba, è poco probabile che già dal primo anno investiranno per la sua modernizzazione oltre la metà della somma complessiva offerta per gli investimenti nella NIS. Secondo, se veramente gli standard ecologici europei entreranno in vigore fra quattro anni, la domanda è a chi la NIS venderà quel carburante, perché altre compagnie probabilmente saranno già ben posizionate. Nelle prossime settimane dovrebbe essere più chiaro anche se la NIS proseguirà col Programma per la promozione degli affari, condotto in collaborazione con la Shell, che dovrebbe far risparmiare alla compagnia serba dai 100 ai 150 milioni di dollari.
La NIS ha già investito parecchi mezzi nell’applicazione di questo programma, cosa che fece due anni fa anche il Governo serbo per la realizzazione della strategia di privatizzazione dell’Industria petrolifera della Serbia. La versione, che alla metà del 2006 aveva accettato l’allora governo, prevedeva la vendita del 37,5 percento del capitale della NIS ad un partner strategico, che avrebbe assunto i diritti di amministrazione e avrebbe avuto l’obbligo di ricapitalizzare la NIS nei primi tre anni per circa mezzo miliardo di euro.
Non è da trascurare nemmeno il fatto che la Gazpromneft otterrà la possibilità di sfruttare le riserve del petrolio locale. Nonostante la quantità di circa 700.000 tonnellate di petrolio greggio, quanto si estrae in media ogni anno in Serbia, sia del tutto trascurabile rispetto a quelle della Russia, non sarebbe un peccato che lo stato difendesse ciò che possiede, in particolare avendo presente le previsioni di un aumento a venire dei prezzi dell’”oro nero”.
E via dicendo…
Resta infine da vedere se e come i rappresentanti della Serbia siano riusciti a obbligare i partner russi a rispettare sul serio tutto ciò che è previsto nell’accordo energetico. In futuro, i cittadini serbi saranno difesi, e in che modo, da un eventuale blocco arbitrario della fornitura del gas dalla Russia?
Fino alla chiusura di questo numero di Ekonomist rimane sconosciuta la rotta prevista per il futuro gasdotto. Se verrà deciso che la direzione del “South Stream”, in uscita dalla Serbia, prosegua attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia come meta finale, significa che i rappresentanti russi dovrebbero a breve raggiungere un accordo con questi paesi che lo renda possibile. A giudicare dai contatti avuti fino ad ora tra russi e croati su questo tema, le condizioni poste dalla Croazia per attirare Gazprom sul suo territorio sarebbero la comproprietà nella rete del gas croato e nella distribuzione che è condotta dalla compagnia Plinarko. Dal momento che la Croazia ha limitato il profitto della Plinarko con l’applicazione di tariffe di trasporto, mediante le quali questa compagnia dovrà reinvestire tutto l’eventuale guadagno nella realizzazione di nuove direttrici, la domanda è quanto questa opzione potrebbe risultare interessante per il gigante russo.
La seconda possibilità è l’accordo con l’Azienda elettrica della Croazia, sulla base del quale la Gazprom otterrebbe la possibilità di costruire centrali a gas in Croazia. Dopo l’incontro tra il premier sloveno Janez Jansa e il direttore di Gazprom, Alexey Miller, avvenuto due anni fa, sui media sloveni era apparsa la notizia dell'interesse di Gazprom all’acquisto di una quota della Lendava, l’unica raffineria slovena, all’acquisizione di una parte del porto di Capodistria e ad effettuare investimenti nella compagnia nazionale Petrol.
Ad ogni modo, anche se tutti questi accordi andassero in porto a breve, la rotta del gasdotto “South Stream” difficilmente passerebbe attraverso i Balcani prima del 2013.