In mancanza d'opzioni migliori e senza aver trovato una soluzione originale alla lancinante questione dello statuto del Kosovo la comunità internazionale si è decisa a sostenere la nascita di un nuovo Stato. Un commento
Di Christophe Solioz*
Il 2 luglio 1990 i deputati albanesi del Kosovo proclamarono l'indipendenza e poi, nel settembre 1991, promossero un referendum clandestino. Infine, il 24 maggio del 1992, Ibrahim Rugova venne eletto alla testa della “Repubblica del Kosovo”. A parte l'Albania, nessun altro Stato riconobbe il Kosovo. La comunità internazionale finse d'ignorare la gravità della situazione, s'accontentò di mezze misure e, soprattutto, marginalizzò le tavole rotonde attorno alle quali si riunivano i protagonisti del difficile dialogo serbo-albanese.
Quest'articolo esce oggi in contemporanea sul quotidiano svizzero ''Tribune de Genève''
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Come si ricorda in modo appropriato in un libro di Pierre Dufour, con il quale allora eravamo impegnati nella promozione di un'opzione pacifica: in Kosovo “si è marciato sulla pace”. Una ventina d'anni dopo, dopo un doloroso cammino, con la Jugoslavia che non esiste più, è in una situazione geopolitica del tutto differente che il parlamento del Kosovo, il 17 febbraio 2008, proclama l'indipendenza del Kosovo amministrato dal 10 giugno 1999 dall'Onu, secondo quanto previsto dalla Risoluzione 1244.
Tanto il fallimento delle negoziazioni sul futuro del Kosovo - condotte inizialmente da Martti Ahtisaari e poi dalla troika Ue, Usa e Russia - da un parte, quanto l'assenza di una nuova risoluzione dell'Onu, illustrano non solo le sempre presenti divisioni tra serbi e albanesi in merito al Kosovo ma anche le molteplici divergenze in seno alla comunità internazionale. Malgrado gli sforzi della Slovenia che presiede questo semestre dell'Unione europea e il bisogno di Bruxelles di affermarsi quale attore rilevante sulla scena internazionale, l'Ue non è riuscita a parlare con una sola voce.
Per mancanza di opzioni migliori e per non essere riusciti a trovare una soluzione originale alla lancinante questione dello statuto del Kosovo la comunità internazionale, stanca di guerre, si è decisa a sostenere – chi a denti stretti, chi con un pò più di coinvolgimento – la nascita di questo nuovo Stato.
Il Kosovo indipendente dimostra forse il successo della comunità internazionale, la fine del protettorato, la realizzazione di una democratizzazione consolidata, di un'economia sostenibile e di uno stato sovrano? Niente di tutto ciò.
Dietro ai discorsi degli internazionali presenti in Kosovo, ripresi in parte con servilismo dalla nuova classe politica kosovara, vi è un Kosovo che non è multietnico non essendolo mai stato, ma piuttosto profondamente diviso. In effetti, come prima del 1999, la società kosovara rimane strutturata attorno alla divisione tra serbi e albanesi ed è caratterizzata dall'apartheid. E questo significa il fallimento della comunità internazionale. Mitrovica ne è il simbolo: i serbi vivono in Kosovo in ghetti e le altre comunità minoritarie non-albanesi non sono più privilegiate.
Sovranità? Proprio no: al protettorato Onu seguirà un'indipendenza fortemente supervisionata dall'Unione europea e il territorio rimane fortemente controllato dalle forze della Nato; dopo gli standard della missione delle Nazioni Unite (UNMIK) spetterà al “potere normativo” dell'Unione europea di imporre le sue logiche economiche, istituzionali e di sicurezza.
Domanda: la condizionalità europea sarà più efficace che i dispositivi messi in campo dall'UNMIK? Quest'ultima ha messo in campo una struttura imponente i cui risultati sono discutibili; come potrà fare meglio l'Unione europea con meno mezzi? Nel quadro della missione Onu l'Ue è già in carico del processo di privatizzazione; con risultati altalenanti. Bruxelles si impegna quindi in una missione ad alto rischio con una credibilità fortemente limitata.
E allora, quale la buona notizia? Davanti ad una crisi rilevante, la Serbia ha reagito in modo contenuto; è la fine degli anni di Milosevic e si è avviata una transizione (purtroppo a malo modo) per superare la logica del protettorato che ha mostrato i suoi limiti. Rimane che una volta divenuto realtà il sogno dell'indipendenza il risveglio rischia d'essere brusco per chi vuol fare del Kosovo un vero stato, e , per di più, che possa un giorno divenire membro dell'Unione europea. Ma dopotutto, perché no ... il Kosovo rimane uno stato virtuale del quale l'unica prospettiva di futuro è l'integrazione europea.
*Christophe Solioz è segretario generale del CEIS. Sta per pubblicare la prossima estate assieme a Wolfgang Petritsch, Dimitrij Rupel e Andrej Vrcon :"The Western Balkans in Europe: A Regional Membership Manifesto" (Nomos, 2008).