La lunga notte di Belgrado
22.02.2008
Da Belgrado,
scrive Danijela Nenadić
Vojislav Kostunica durante la manifestazione (Fonte - B92)
A Belgrado una manifestazione contro l'indipendenza del Kosovo sfocia in violenze contro le ambasciate straniere. Bruciata quella Usa e quella croata, con un morto. Una Serbia che si trova profondamente divisa tra chi sceglie la via pacifica e chi risolleva gli spettri degli anni '90
Ieri a Belgrado migliaia di persone sono scese in piazza al motto "Il Kosovo è Serbia”, manifestazione che è terminata con una cerimonia religiosa davanti alla chiesa di San Sava. Secondo le stime dei media locali e stranieri davanti al palazzo del Parlamento si sono riunite circa 200 mila persone. Solo la Radio televisione della Serbia, riferendosi all’emittente americana CNN, ha riportato la presenza di mezzo milione di persone.
La manifestazione si è aperta con le note dell’inno nazionale “Boze pravde”, dopo di che l’attore Nenad Jezdic ha letto la poesia “Kosovo Polje” dello scrittore Matija Beckovic. Il premier serbo Vojislav Kostunica, con un discorso dai toni drammatici, ha ricordato che "Kosovo" è il primo nome della Serbia. Cos’è il Kosovo? Dov’è il Kosovo? Di chi è il Kosovo? C’è qualcuno in mezzo a voi che pensa che il Kosovo non sia suo? Ha chiesto Kostunica mettendosi una mano sul cuore.
“Se come serbi rinunciamo alla serbità, alle origini, al Kosovo e alla storia, allora che serbi siamo?", ha aggiunto il premier. Secondo quest'ultimo la Serbia non rinuncia al suo posto nel mondo, ma chiede di “arrivare al suo posto e al suo futuro nello stesso modo e alle stesse condizioni di tutti gli altri popoli e di tutti gli altri stati del mondo”. “Finché vivremo, il Kosovo è Serbia, finché vivremo i nostri fratelli in Kosovo non saranno soli e non saranno dimenticati, finché rigetteremo gli ultimatum e accetteremo l’amicizia, la Serbia sarà libera”, ha concluso Kostunica.
Il leader del Partito radicale serbo (SRS) Tomislav Nikolic ha affermato dal palco che la Serbia difenderà ogni suo figlio in Kosovo, ogni palmo di suo territorio, perché senza il Kosovo non ci sarà nemmeno la Serbia. Nikolic ai cittadini presenti alla manifestazione ha detto: “Figli, giovani, giuriamo che il Kosovo è nostro e lo sarà per sempre”. “Giuro su Dio che non mi tranquillizzerò finché il Kosovo e Metohija non sarà sotto il controllo della Serbia. Non riuscì Hitler a prendercelo, non ci riusciranno nemmeno questi di oggi”, ha concluso Nikolic.
Alla manifestazione di protesta sono intervenuti anche il premier della Republika Srpska Milorad Dodik, i presidenti dei partiti politici serbi del Montenegro, Andrija Mandic e Predrag Popovic. Anch’essi hanno inviato lo stesso messaggio: non cederanno sull’indipendenza del Kosovo.
Presenti anche i rappresentanti degli studenti delle università di Belgrado, Nis e Pristina che hanno ribadito che il Kosovo è parte della Serbia. Uno studente dell’Università di Belgrado ha enfaticamente affermato che “le porte del paradiso non sono a New York e Londra, ma nel Patriarcato di Decani e di Pec”. Agli studenti si sono affiancati anche i rettori delle università di Belgrado e di Pristina, Branko Kovacevic e Zdravko Vitosevic.
Al meeting hanno partecipato e si sono rivolti al pubblico anche il famoso campione di basket Dejan Bodiroga e il noto regista Emir Kusturica. Con un collegamento video si è rivolto ai cittadini Novak Djokovic, il miglior tennista serbo, il quale ha detto che “lui e la sua famiglia sono sempre col Kosovo”.
La maggior parte dei presenti ha salutato i discorsi dal palco, ha urlato frasi, ha sventolato bandiere e cartelloni mentre scandiva “il Kosovo è il cuore della Serbia”.
Quando la manifestazione è finita, la maggior parte dei partecipanti si è incamminata verso la chiesa di San Sava, dove il vescovo montenegrino Amfilohije ha tenuto una cerimonia. Come riportato da B92, il vescovo Amfilohije ha affermato: "Siamo qui per far sì che in questo momento decisivo ribadiamo chi siamo e cosa siamo. Noi siamo kosovari. La nostra culla, quella del nostro popolo e il luogo della nostra nascita è il Kosovo e Metohija”.
Alla manifestazione non ha preso parte il presidente della Serbia Boris Tadic, perché era in visita ufficiale in Romania, paese che non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Alla protesta non hanno preso parte nemmeno i deputati del G17, del Partito liberal democratico (LDP), della Lega dei socialdemocratici della Vojvodina (LSV), e non è stata registrata nemmeno la presenza dei deputati del Partito democratico (DS).
Per tutto il giorno, da ogni luogo della Serbia, sono giunti autobus e treni che hanno portato i cittadini al meeting di protesta. Belgrado negli ultimi giorni si è preparata per organizzare al meglio la protesta. La protezione civile ha cercato di garantire il normale funzionamento della città. Tuttavia, Belgrado ieri era al collasso. Molte istituzioni statali non hanno lavorato, così come le organizzazioni e le aziende che hanno gli uffici nel centro della città. Il ministero dell’Istruzione ha dichiarato un giorno di astensione dal lavoro per tutte le scuole elementari, medie e superiori. Molti genitori degli studenti belgradesi erano molto preoccupati per questa decisione, protestando perché, come hanno detto, non sapevano dove sarebbero andati i loro figli.
Gli ingegnosi negozianti nelle strade vicine alla stazione dei treni e a quella degli autobus, come misura preventiva hanno messo sulle vetrine dei negozi la scritta “Il Kosovo è Serbia”, “Serbia fino a Tokyo”, “Il negozio non lavora in sostegno alla manifestazione”.
Prima della fine della protesta davanti al palazzo del Parlamento un gruppo di manifestanti si è indirizzato verso l’ambasciata americana.
Gli scontri più violenti si sono verificati nella via Knez Milos dove hanno sede le ambasciate Usa, della Croazia e di altri paesi. I manifestanti prima hanno attaccato e incendiato l’edificio dell’ambasciata americana, hanno distrutto le vetrate e hanno gettato contro l’edificio torce e molotov. La polizia dopo alcune ore ha disperso i violenti con l’impiego di lacrimogeni e automezzi Hammer.
Come riporta B92 nell’ambasciata americana è stato trovato un corpo carbonizzato, il cui sesso e identità non sono noti. B92 ha riportato che secondo le prime impressioni la persona uccisa non è un impiegato dell’ambasciata. Gli Stati Uniti hanno annunciato che chiederanno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di condannare gli attacchi all’ambasciata americana a Belgrado. I facinorosi hanno attaccato anche le ambasciate della Croazia e della Turchia, hanno rotto gli stemmi e incendiato le bandiere. È stato incendiato anche l’edificio davanti all’ambasciata croata. Sono stati divelti e incendiati i cassonetti dell’immondizia, ed in questa parte della città è stata quasi interamente distrutta la segnaletica stradale.
Gruppi di violenti hanno continuato poi a scorrazzare selvaggiamente per le vie centrali di Belgrado. Secondo le stime questi ultimi, perlopiù giovani e giovanissimi, hanno distrutto e rapinato quasi tutti i negozi, rubando tutto quello che avevano sotto mano. I gruppi di “ladri” hanno passeggiato e hanno mostrato il loro bottino, tenendo in mano scarpe da tennis, profumi, vestiti e altri articoli presi nei negozi deserti. È stato nuovamente demolito il ristorante McDonald’s nella zona di Slavija. Sono state frantumate le vetrate di banche e uffici postali.
Alcune decine di dimostranti si sono radunati inoltre attorno alla sede della televisione B92, urlando “ustasa, ustasa”. La polizia ha fatto un cordone di protezione davanti all’edificio di B92 per evitare incidenti.
Secondo le parole del vice responsabile del Pronto soccorso sono state accolte e curate 113 persone di cui 35 poliziotti. La maggior parte delle persone curate ha riportato ferite lievi .
Peggio se la sono passata i giornalisti dei media locali e stranieri, che sono stati attaccati dai dimostranti, che hanno rotto loro le telecamere e nei casi peggiori li hanno picchiati. Secondo le ultime informazioni della polizia, durante la notte sono state arrestate oltre 100 persone.
Il presidente Tadic ha chiesto che finiscano le violenze per le vie di Belgrado, così come gli attacchi alle ambasciate straniere. Come riportato dall’agenzia Beta, Tadic ha affermato che “tutto ciò non può certo aiutare nella lotta per il Kosovo e Metohija”.
Il ministro dell’Economia e dello Sviluppo Regionale Mladjan Dinkic ha aggiunto che oggi da Belgrado è stata inviata un’immagine che dipinge i serbi come selvaggi. Il ministro della Difesa Dragan Sutanovac e il ministro per i Fondi di investimento nazionale, Dragan Djilas, hanno dichiarato che le violenze rinforzano l’immagine negativa sulla Serbia. Sutanovac a B92 ha detto che “è sbalorditivo il fatto che già durante i primi discorsi dal palco un gruppo di facinorosi aveva iniziato ad attaccare l’ambasciata turca, e durante la funzione religiosa era già stata incendiata l’ambasciata americana. Evidentemente i gruppi organizzati non sono venuti per il meeting, bensì per provocare incidenti per tutta la città”.
Il leader del LDP, Cedomir Jovanovic, ha dichiarato che per le violenze “sono responsabili fino in fondo le istituzioni che hanno chiamato i cittadini al meeting” e ha aggiunto che “la Serbia non può difendersi con la violenza che ha compromesso il paese durante i venti anni passati”.
Come riporta Beta, il segretario generale del Partito radicale Aleksandar Vucic ha detto che era chiaro che “dopo le provocazioni di molti politici e media che sono a favore del Kosovo indipendente sarebbe stato difficili contenere l’emozione della gente”. Vucic ha aggiunto che il suo partito ha provato a tranquillizzare la situazione, chiedendo di contenere ogni tipo di emozione, ma non c’è riuscito fino in fondo.