In fermento la campagna elettorale per le amministrative in Bosnia Erzegovina. Nonostante le elezioni riguardino le municipalità, i principali partiti si comportano come se si trattasse di elezioni politiche
È partita la campagna elettorale in vista delle amministrative in Bosnia Erzegovina. È la prima campagna dopo la firma dell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione, che tanto ha significato per la Bosnia in questi ultimi anni. L’integrazione europea (assieme alla condanna per il
Queer Festival di Sarajevo) è infatti uno dei pochi argomenti che raccolgono il consenso di quasi tutti i partiti in Bosnia Erzegovina.
Parlando di Europa, si riescono a superare le divisioni etnico-politiche del paese. Ma la firma dell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione non sembra aver mutato i contenuti del discorso politico. In Bosnia Erzegovina, la politica usa i vecchi cliché della difesa del proprio gruppo etnico. Nonostante le elezioni riguardino le municipalità, i principali partiti si comportano come se si trattasse di elezioni politiche, e i temi che emergono sono quelli tipici delle politiche.
A dir il vero, sono i partiti a maggioranza bosgnacca, il SBIH (il Partito per la Bosnia ed Erzegovina), SDA (Partito dell’Azione Democratica, bosgnacco), il DNZ (la Comunità Popolar Democratica, ex partito di Fikret Abdić) e il SDP (Partito Social Democractico, a prevalenza bosgnacca) a far riferimento al processo di integrazione europea nella loro campagna elettorale.
(foto Yumiko Saito)
Il SDA si rifà all’“identità bosniaca, cammino europeo”. Il SBIH, che centra la sua campagna attorno al leader Silajdžić, modifica il suo slogan precedente da “100%” BIH” a “100% Europa” invitando gli elettori a seguire la “strada giusta”. Il DNZ invece incoraggia a seguire la “strada europea per la Bosnia ed Erzegovina”. Il SDP invita gli elettori a votare per gli individui “all’europea”, per il lavoro, per l’uguaglianza dei diritti, evitando quindi di far riferimento all’appartenenza etnica. Il SDP anzi rigetta in toto la divisione, nel proprio spot televisivo, ricordando che le bocche sia di serbi, che di croati e di bosgnacchi sono vuote, mentre tutti gli altri partiti continuano a far riferimento all’appartenenza etnica anziché concentrarsi sui temi economici e sociali. Uno dei pochi tra i partiti a maggioranza bosgnacca a non richiamarsi all’Europa è il BPS (il partito patriottico bosniaco). Il patrioti bosniaci infatti si richiamano all’”onestà e giustizia” come valori guida, chiaro riferimento al suo leader principale, Sefer Halilović, ex generale dell’esercito bosniaco, processato e assolto dall’accusa di crimini guerra dal tribunale dell’Aja.
I partiti serbi e croati non fanno menzione dei valori europei, ma ciascuno si sforza di trovare la retorica più efficace nel richiamarsi ai valori etnici. L’HDZ (la Comunità democratica croata) invita a scegliere “il nostro” candidato, a votare per la “nostra casa e per la nostra città”, ricordando che l’HDZ non “ha tradito” il voto degli elettori. L’HDZ BIH inoltre nelle maggiori città della Republika Srpska (RS) si presenta in coalizione con gli altri partiti croati minori e con gli scissionisti del HDZ 1990. Il HDZ invita quindi a votare per la “sopravvivenza dei croati” in Bosnia Erzegovina, chiaro riferimento alla posizione minoritaria dei croati tra i popoli costituenti.
(foto Yumiko Saito)
Tra i partiti serbi, è invece la difesa della Republika Srpska che campeggia. Il SDS (Partito Democratico Serbo) e il SNSD (il partito dei socialdemocratici indipendenti di Dodik) sono quelli che più di ogni altro si assumono il ruolo di difensori della RS. Il SDS, riutilizzando il vecchio inno della RS, “la giustizia di Dio”, mentre il SNSD, quasi parafrasando l’HDZ fa riferimento a “la mia casa serba”. Ancora più “risoluto per la Srpska” sembra essere il DNS (il partito democratico popolare, ex partito di Bilijana Plavšić). Infine, il SRS (partito radicale serbo della Republika Srpska) non sembra soffrire della crisi che ha colpito i radicali in Serbia, e che promette che con i radicali “per sempre sarà Srpska”.
Se la retorica almeno di alcuni partiti si rifà all’integrazione europea, la polemica politica ricalca i percorsi familiari. E così, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite diventa il palcoscenico della campagna elettorale bosniaca. Nel suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, Haris Silajdžić ha fatto appello alle Nazioni Unite affinché “il genocidio non venga ricompensato”. Per Silajdžić non è possibile arrestare Karadžić e allo stesso tempo mantenere i risultati del suo progetto. Silajdžić fa appello alle Nazioni Unite affinché pongano “rimedio a tale situazione”. Il che, per il pubblico bosniaco, ancora una volta vuol dire, l’abolizione della Republika Srpska. Da notare che il discorso di Silajdžić non era stato concordato con i membri croato e serbo della presidenza e che quindi Silajdžić ha parlato a titolo personale.
Poco importa che l’ONU non possa fare nulla per cambiare la Costituzione della Bosnia, quel che è importante è che il discorso di Silajdžić sia diffuso in Bosnia Erzegovina a beneficio degli elettori bosgnacchi. Sulejman Tihić, leader del SDA, invece, in un’altra mossa prettamente demagogica, ha adottato una dichiarazione mirante ad ottenere la piena attuazione del Accordo di pace di Dayton come metodo per superare l’attuale situazione, altrimenti, si dovrà ritornare alla Costituzione antecedente al conflitto.
(foto Yumiko Saito)
Questa volta Dodik non ha risposto con la consueta retorica referendaria. Dodik ha ammesso espressamente che Silajdžić è la cosa migliore che potesse accadere alla Republika Srpska, dato che ha fatto capire a molti serbi che la RS è la loro unica possibilità. Ugualmente Dodik ha semplicemente bollato come impossibile il tentativo del SDA di ritornare alla costituzione precedente al conflitto, quella della Republika di Bosnia Erzegovina. Dodik però, abbastanza a sorpresa, non ha fatto menzione del referendum sull’indipendenza della RS. Nel 2006, i suoi continui riferimenti al referendum avevano destato seria preoccupazione nelle ambasciate e nella comunità internazionale. Ora invece il discorso sul referendum è scomparso. Sembra anzi che esista un video dove Dodik, credendo che il microfono sia spento, dice che già da tempo ha abbandonato l’idea di secessione. C’è da scommettere che tale video uscirà presto.
Nulla di nuovo sotto il sole in vista delle elezioni. Naša Stranka, il partito fondato da Danis Tanović, che aveva suscitato molte speranze in chi sperava in un modo nuovo di fare politica, non è riuscito a rendersi visibile ed è rimasto abbastanza defilato in questi mesi . Molto difficilmente riuscirà ad avere un risultato significativo a livello municipale.
Alla luce di questo scenario politico, dove i principali partiti godono di rendite di posizione e si mantengono al potere senza fare nulla per i loro elettori, non c’è da aspettarsi alcun cambiamento significativo nello scenario politico. Le perdite o i guadagni dei vari partiti saranno di lieve entità, mentre non è escluso che il numero di astenuti aumenti. Anni fa, ogni tornata di elezioni in Bosnia Erzegovina, ed in particolare quelle municipali, era attesa con molte speranze da parte della comunità internazionale. Ora invece c’è molto disincanto: le elezioni sono viste come un fastidio necessario, che si spera di lasciarsi alle spalle il più presto possibile.