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La ''nostra gente'' di Kosovo e Albania

03.10.2006    Da Kosovo, scrive Tanya Mangalakova

Domenica scorsa un'esplosione ha danneggiato la casa di un membro della comunità Gorana, nel sud del Kosovo. "Un atto criminale per destabilizzare il Kosovo", ha commentato il governo. Ma chi sono i Gorani? Un reportage di Tanya Mangalakova
La realizzazione di questo reportage è stata sostenuta dall'European Cultural Foundation

Un matrimonio - foto di Tanya Mangalakova
In Kosovo, nella regione della Gora, che confina con Macedonia ed Albania, tra le cime dello Shar, del Korab e del Koritnik, vivono circa 12mila Gorani, ( o “nashentzi”, “la nostra gente”, come si auto-definiscono), in diciotto villaggi, abitati esclusivamente da loro.

I “nashentzi“, in Kosovo, vivono anche nella regione della valle della Zhupa, ad est di Prizren, in villaggi come Lokvitza, Rechane e Yablanitza. Due villaggi gorani si trovano invece in Macedonia occidentale, Yelovyane e Urvich, con circa 4mila abitanti, mentre in Albania settentrionale, nella regione di Kukes, tra le Alpi albanesi che confinano con il Kosovo, vivono circa 7mila e cinquecento “nashentzi” in nove diversi villaggi.

Le genti della Gora e di Zhupa formano una comunità etnica specifica, e si identificano nella definizione di “nashentzi”, “la nostra gente”, definendo il loro linguaggio come “nashenski”, “la nostra lingua”. Si tratta di un dialetto bulgaro arcaico, molto vicino al macedone. Sono slavi, convertiti all'Islam durante il dominio ottomano. Miftar Ademi, insegnante e scrittore di Prizren nato nel villaggio di Dolo Ljubine, nella regione della Zhupa, ha ideato la “Nashinitza”, alfabeto in caratteri latini per poter scrivere la lingua dei “nashentzi”. Lui stesso, come altri intellettuali del Kosovo, scrive prosa e poesia nella sua lingua madre. In Kosovo e Macedonia i “nashentzi” usano il cirillico, mentre in Albania si usano soltanto i caratteri latini. Secondo i dati ufficiali, in Albania la minoranza dei “nashentzi” non esiste.

Questo viaggio tra i Gorani del Kosovo e dell'Albania è stato per me una specie di avventura, essendo la zona delle montagne intorno a Kukes a me del tutto sconosciuta. Sono partita armata di zaino e di un cd pieno di vecchie mappe sovietiche della zona risalenti al 1975, con i nomi dei paesi gorani in cirillico, regalatomi da un amico speleologo.

I “nashentzi” sono persone estremamente ospitali. Chi viaggia tra i villaggi gorani può ancora godere del privilegio di sentirsi un ospite. Ognuno di loro prova a superare il vicino in generosità, dando ospitalità e sommergendo gli ospiti di doni. Per secoli la gente di queste montagne ha trovato sostentamento lavorando lontano da casa.

I Gorani di Dragash sono noti come i migliori produttori di burek e di boza nei Balcani, i “nashentzi” di Zhupa lavorano invece come muratori. Gli anziani di Sofia, Plovdiv, Kyustendil e Varna, in Bulgaria, ricordano ancora i negozi di burek, baklava e khalva (questi ultimi dolci di tradizione turca) di strani albanesi che parlavano la lingua bulgara.

Dall'inizio del 19° secolo fino alla seconda guerra mondiale, nelle città della Bulgaria, questi negozi era effettivamente proprietà di gorani. Durante il viaggio tra le montagne ho incontrato molti “nashentzi”, i cui padri avevano lavorato in Bulgaria. Nel villaggio di Milke, in Kosovo, ho conosciuto Rushid Veapi, di 84 anni, che ancora ricorda con malinconia il suo negozietto a Plovdiv, e il momento in cui dovette lasciarlo per tornare a casa, durante la guerra.

Oggi molti “nashentzi” in Kosovo sopravvivono grazie ai cento euro di pensione ricevuti da Belgrado. I gorani che ricevono uno stipendio dalla Serbia sono circa 2mila, mentre in 1.800 circa ricevono la pensione. Nelle attuali condizioni della comunità, in Kosovo, con una disoccupazione del 90%, questi soldi hanno un'importanza capitale. Molti sono emigrati in Serbia, in Macedonia o in Bosnia, e tornano nella Gora solo per le vacanze estive. Anche oggi molti si guadagnano da vivere all'estero insieme alle proprie famiglie.

Matrimoni al suono di “zourias” e tamburi

Luglio e agosto nella gora sono la stagione dei matrimoni, e le colline risuonano dell'eco delle “zuorias” (una specie di clarinetto) e dei “tupani” (tamburi). I Gorani tornano per sposarsi nei loro villaggi. Gli scapoli cercano la loro dolce metà nel “korzo”, la strada principale al centro di ogni villaggio gorano. Oggi i matrimoni durano uno-due giorni, e sono giorni di festa per tutto il villaggio. Le spose sono colorate, i loro visi sono coperti con un velo in broccato e truccati, proprio come succede nei matrimoni dei pomacchi (bulgari mussulmani). Il suocero porta via la sposa dai genitori, a dorso di cavallo e coperta di velo. Le giovani donne indossano copricapi in pelle, adornati con monete d'oro che vengono tramandate attraverso le generazioni. I “nashentzi”, secondo tradizione, si sposano per amore, e tornono a casa da lontano per sposarsi nella Gora. I matrimoni misti sono una rarità. Morach, un giovane del villaggio di Shishtevec, si è sposato l'estate scorsa. Vive e lavora a Londra, come 700 suoi compaesani. Suo padre l'ha messo in guardia dallo sposare un'inglese, e lo ha rimandato a Shishtevec, dopo passeggiando per il “korzo”, ha conosciuto una ragazza del posto. L'emancipazione è ancora lontana per le donne gorane in Kosovo e in Albania, dove i bar e i caffè sono riservati agli uomini. Le donne gorane sono grandi lavoratrici, badano ai figli e lavorano nei campi o con le bestie, e in Albania fanno la raccolta di grano, segale e avena. La terra è tutt'altro che fertile, ma nonostante l'abbondanza di spoglie montagne, ci sono piccoli campi coltivati a piselli, mais, patate e frumento. Le donne si recano ai campi a piedi o a cavallo, mentre i bambini portano gli animali al pascolo.

Djurdjevden (Il giorno di San Giorgio)

I “nashentzi”, oltre al Bajram mussulmano, festeggiano anche ricorrenze cristiane e pagane. La festa più grande sulla Gora e a Zhupa è quella di Djurdjevden, il giorno di San Giorgio. IL 6 maggio di ogni anno viene festeggiato da ogni villaggio sui prati, con cori, tamburi e “zourias”. Le donne gorane, in Kosovo, sono vestite con caffettani bianchi, mentre in Albania mettono gli autentici costumi tradizionali fatti a mano, e ricchi di ricami.

Discendenti dei Bogomili

Oltre a Djurdjevden, i “nashentzi”, festeggiano molte feste ortodosse, Bozhic (Natale), Mitrovden, Krastovden, Antanas ecc.Tra l'altro conservano l'antica tradizione cristiana del giorno di “Tutti i Santi”. Delle festività mussulmane rispettano soltanto il Bajram e il “Sunets” (la circoncisione). Nazif Dokle, storico, artista ed intellettuale della regione di Kukes, in Albania, sostiene che i “nashentzi” sono “Torbeshi”, discendenti dei Bogomili, che trovarono rifugio sulle montagne tra Kosovo, Albania e Macedonia. Secondo Dokle le tracce del cristianesimo ortodosso sono ancora molte, il che, secondo lui, significa che l'Islam è stato accettato in modo piuttosto superficiale. C'è un cimitero “kavursko” (da “kavur, gavur” – una parola peggiorativa turca per “cristiano”, ai tempi dell'impero ottomano) in ogni villaggio, mentre nel villaggio di Orgosta, in Albania, sono stati trovati antichi affreschi. Secondo Dokle i Bogomili si convertirono all'Islam a causa delle numerose somiglianze tra le due fedi. Le moschee sono semplici, e l'Islam non ha icone, così come non le avevano i Bogomili. Espulsi dalla chiesa ortodossa, i Bogomili trovarono speranza tra le braccia dell'Islam. In Albania, i “nashentzi” che oggi hanno nome e cognome in albanese, conservano ancora i propri soprannomi slavi.

Una questione di identità

Durante l'estate gli otto caffè del villaggio di Brod, in Kosovo, sono affollati dagli emigranti che ritornano a casa. Qui spesso si discute sulla propria identità nazionale. “Che cosa siamo, Serbi, Macedoni, Bosniaci, Turchi o Bulgari?“, è questo il nocciolo della questione. Su una cosa però sono tutti d'accordo, “Noi siamo Gorani, “nashentzi“ e parliamo “nashenski“, la nostra lingua“. Solo la Serbia e la Macedonia forniscono loro qualche tipo di sussidi. La Serbia paga gli stipendi dei lavoratori sociali, come dottori e insegnanti, oltre a pagare le pensioni. I contributi di disoccupazione sono di appena 40 euro, davvero poco in una regione devastata dalla mancanza di lavoro. La maggior parte dei cittadini di Brod vivono in Macedonia, a Skopje, e hanno passaporto macedone. “Da quando i socialdemocratici di Branko Cervenkovski sono andati al potere, nel 2002, le procedure per prendere la cittadinanza macedone si sono complicate. Ma adesso con la vittoria della coalizione guidata dal VMRO-DPMNE, tutto sarà più semplice”, mi ha detto Ismail Bojda, presidente dell'Unione dei Macedoni Mussulmani, un'Ong con sede a Skopje. Bojda, originario di Brod, ex ingegnere ora in pensione, probabilmente dirigerà presto l'Agenzia per i Macedoni all'Estero. Secondo lui gli abitanti della Gora sono Macedoni di religione mussulmana, giudizio espresso anche dalla conferenza internazionale dei Gorani, tenutasi a Skopje il 14 gennaio del 2006, nella quale si è espressa la richiesta di organizzare l'insegnamento della lingua macedone nella Gora, dove dovrebbe essere usata come lingua ufficiale nell'amministrazione. Il problema è che a Brod ci sono anche bosgnacchi e che spesso persone della stessa famiglia si identificano in comunità etniche differenti.

Contro le festività “infedeli”

All'inizio degli anni '90 un gruppo di estremisti dichiarò guerra alla celebrazione del Natale nel villaggio di Brod. In seguito il giovane imam di Restelitza ha apostrofato gli abitanti di Brod perchè celebrano Djurdjevden, “una festa kavur”. Restelitza è il villaggio più grande della Gora, e quello in cui vivono i mussulmani più credenti. C'è una scuola islamica dove insegna un maestro formatosi in Arabia Saudita. Nella moschea circa 400 ragazzi studiano il Corano, le ragazze sono velate, mentre ogni donna dovrebbe indossare un lungo mantello. Ramiza vive da 30 anni in Svizzera, ma quando rientra col marito a Restelitza, lui ferma la macchina per farle indossare il caffettano.

Naser, giovane imam del villaggio, continuava a fremere ogni volta che menzionavo la grande festa di Djurdjevden. “Ma non si tratta di Djurdjevden, ma di Letan dan (Il giorno d'estate), rimasto dai tempi pagani, che non ha niente a che fare con la cristianità... Perchè dovremmo celebrare Natale o Ilinden (il giorno di Sant'Ilia)?” Secondo lui, qui la maggior parte delle persone si ritiene bosgnacca.

A Restelitza c'è una scuola in lingua bosniaca. Dopo la guerra in Kosovo molti “nashentzi”, per la loro sicurezza personale, preferiscono definirsi bosgnacchi. I rappresentanti politici bosgnacchi partecipano al governo ad interim del Kosovo, al contrario di quanto fanno quelli serbi. Sadik Idrizi, ministro della Sanità e membro del team negoziale di Pristina sullo status, sostiene che nella Gora ci siano bosgnacchi che parlano il bosniaco. Ma anche a Krushevo, il suo paese natale, la maggior parte delle persone che ho interrogato si riferivano a loro stessi come a “nashentzi”, e di parlare il “nashenski”.

In Albania la religione è un fattore meno influente. Durante il comunismo le moschee di molti villaggi sono state distrutte e adesso i Gorani le stanno ricostruendo. A Borje e Shishtevec sono quasi finite, ma si stanno ancora raccogliendo i soldi per i minareti. Nel frattempo gli imam locali bevono birra e rakia in compagnia dei propri paesani. Nei villaggi della Gora ci sono ancora i resti di molte chiese e molti cimiteri cristiani. A Brod si ricorda ancora Bozhana, l'ultima donna cristiana, morta nel 1856, e il posto dove è sepolta, nel cimitero “kavur”. Nel libro “Canzoni tradizionali gorane” di Harun Hasani, nato nel villaggio di Bachka e oggi a Belgrado dal 1999, si trovano molti nomi bulgari come Stoyan, Yana, Maria,Stana, Peio, Antanas, Dincho ecc.

Bosgnacchi, Gorani, Macedoni, Serbi o Bulgari?

I politici di Gora e Zhupa sono divisi, e non sono in grado nemmeno di fare minime richieste comuni in un momento importante come questo, mentre si discute del futuro status del Kosovo. I “nashentzi” sono pessimisti e impauriti dalla prospettiva dell'indipendenza. Supportano piuttosto il processo di decentralizzazione, e in molti insistono sulla ricostituzione della vecchia municipalità di Gora con centro a Dragash, abolita dopo il 1999. Sadik Idrizi e Djezair Murati – parlamentare a Pristina e presidente del Partito Democratico dei Bosniacchi in Kosovo, hanno però fatto una proposta alternativa: la creazione di una municipalità di Dragash con due amministrazioni parallele, come a Mitrovica. Secondo Murati, i bosgnacchi del Kosovo dovrebbero essere integrati nelle istituzioni ad interim, e imparare l'albanese in quanto lingua della maggioranza. E' interessante notare che la Bosnia ed Erzegovina non concede la sua cittadinanza ai bosgnacchi del Kosovo. Vedat Bajramaga, nato a Brod, è stato costretto da alcuni albanesi a vendere le sue proprietà a Pristina a fuggire a Sarajevo. Vedat e i suoi familiari in Bosnia sono considerati stranieri, ed hanno lo status di rifugiati. “Sono disperato, a Sarajevo rifiutano di concedermi il passaporto. Pago tutto come uno straniero, sanità, educazione, ecc. Non mi sento sicuro di vivere in Serbia perchè il mio cognome è tipicamente mussulmano, ma in Bosnia non mi danno i documenti”, mi ha raccontato.

Rustem Ibishi, parlamentare a Pristina e leader dell Iniziativa dei Cittadini della Gora, è ugualmente preoccupato per il futuro dei Gorani in Kosovo. “Se non si fa la municipalità di Gora, e non va avanti la decentralizzazione, siamo finiti”, mi ha detto a Mlike, il suo villaggio natale. Ibishi è critico rispetto al concetto di bosgnacchi in Kosovo. Secondo lui, i Gorani sono un'entità etnica a parte. Il problema, secondo Ibishi, è che i “nashentzi” stanno abbandonando il Kosovo a causa di disoccupazione, mancanza di prospettive e contrasti con la maggioranza albanese del Kosovo.

Il fenomeno dei passaporti bulgari

I “nashentzi” sono grandi lavoratori, ma per loro il Kosovo non è un posto dove poter fare business, e il passaporto blu dell'Unmik non gli è di grande aiuto, visto che per viaggiare in Europa hanno bisogno di visti. Per questo, il passaporto bulgaro è diventato il sogno di molti, la via più facile per fuggire dalle enclaves verso l'Unione Europea. Ci sono due Ong in Kosovo, che promuovono la cooperazione con la Bulgaria, l'associazione culturale “Bulgarski Muhamedani” (mussulmani bulgari), creata nel 2004 nel villaggio di Dolno Ljubine, e la Youth Union Gora, nata a fine 2005. I loro membri si aspettano una politica flessibile della Bulgaria verso i Gorani, sempre che Sofia voglia avere un qualche peso in Kosovo.

Avnija Bahtijari, presidente della Youth Union Gora, ha fatto un vero appello ai politici bulgari: “I Gorani sono benestanti e lavoratori. Se Sofia gli darà cittadinanza e passaporti, verranno ad investire i loro soldi in Bulgaria, aprendo caffè, negozi, pasticcerie. D'altra parte, così facendo, Sofia potrà contare su cittadini bulgari in Kosovo. Non c'è molto tempo, perchè nel 2007 la Bulgaria entrerà nell'Ue, e lo status del Kosovo sarà presto risolto. La Bulgaria deve fare presto, altrimenti tutto sarà vano”, mi ha detto Avnija, visibilmente emozionato.

Paura per lo status del Kosovo

La comunità gorana è troppo piccola per influenzare il processo di definizione dello status del Kosovo. Isolati tra le loro montagne, i Gorani non hanno libertà di movimento, nè di usare il proprio dialetto. L'unica loro pubblicazione è la rivista “Alem”, pubblicata in bosniaco dal bravo giornalista Mustafa Balje, oltre ad una trasmissione settimanale in tv.

Negli anni scorsi ci sono stati 51 attacchi dinamitardi nella Gora, ad opera di estremisti albanesi. Ultimamente gli attacchi sono terminati, “ma solo perchè gli albanesi vogliono mostrare agli internazionali che rispettano gli standard”, dicono molti “nashentzi”. La grande paura dei Gorani è che gli Albanesi vogliano cacciarli dalle loro montagne, comprando le proprietà e i terreni più pregiati, per poi costringerli ad andare via. Al momento 200 terreni di proprietari gorani sono stati venduti ad acquirenti albanesi. Quando uno dei terreni più belli dello Shar, nei pressi di Brod è stato comprato da un businessman albanese per edificare un hotel, alcuni degli abitanti hanno mormorato, “Adesso è finita”. Djezair Murati, è convinto che il parlamento debba adottare una legge speciale, per limitare la vendita di terreni e abitazioni.

I Gorani dei villaggi al confine con l'Albania denunciano un'altro pericolo. Da cinque o sei anni i “Ljumani”, (con questo termine si indicano gli Albanesi che vivono lungo il fiume Ljuma, nell'Albania settentrionale), entrerebbero regolarmente in Kosovo attraverso sentieri di montagna, per razziare bestiame e apparecchi elettrici dalle case disabitate a Mlike, Restelitza, e Globochitza. Molti gorani sostengono che, dopo il tramonto, la polizia non controlli affatto il confine tra Kosovo e Albania.

I “nashentzi” sono tali soltanto quando sono tra le loro montagne. Allontanandosi dalla Gora per vivere nelle grandi città, stanno perdendo la loro cultura. “Abbiamo una terra sterile, tutta di sasso, sette mesi di freddo e un solo mese di estate. Come si fa a guadagnarsi il pane? E' per questo che scappiamo dalle nostre montagne”, mi dice Chengiz, un gorano che vive a Mitrovica nord, dove i suoi genitori si sono trasferiti negli anni '30.

Chengiz pensa di essere al passo coi tempi. Crede che non abbia senso preparare il burek nella sua pasticceria. “Invece di ammazzarmi d lavoro col burek, posso vendere caffé “macchiato”. Il burek vale meno del lavoro che richiede.”

Quest'estate i tamburi e le “zourias” dei matrimoni gorani echeggiavano tra le cime dello Shar, in Kosovo, e oltre il confine, tra i monti dell'Albania. La questione è, per quanto tempo ancora continueranno a farlo?
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