Referendum a metà
06.02.2008
Da Belgrado,
scrive Francesco Martino
Dusan Pavlovic
I risultati elettorali delle presidenziali e le possibili ripercussioni della vittoria di Tadic su tenuta del governo, questione kosovara e destino europeo della Serbia, in un'intervista con Dusan Pavlovic, docente alla Facoltà di Scienze Politiche di Belgrado e autorevole analista politico
Le elezioni presidenziali di domenica scorsa, vinte dal candidato democratico Tadic, sono state presentate agli elettori serbi come un vero e proprio referendum sul futuro europeo del paese. Quali considerazioni emergono dai risultati di queste consultazioni?
Un referendum è una scelta che, una volta presa, non può essere rimessa nuovamente in discussione. Da questo punto di vista le elezioni di domenica non possono essere definite come un vero referendum per un motivo sostanziale, e cioè che i risultati ottenuti possono ancora essere ribaltati. Molte sfide politiche aspettano la Serbia, e la scelta pro-europea potrebbe essere messa in discussione nel futuro, visto che nel paese ci sono ancora influenti forze dichiaratamente anti-europee o almeno euroscettiche. Credo che l’atmosfera politica che ha fatto gridare al referendum sia conseguenza soprattutto di una precisa strategia politica di Boris Tadic, che ha presentato il voto come una scelta tra un futuro europeo o il ritorno al periodo buio degli anni ’90, strategia che si è rivelata molto produttiva per mobilitare gli elettori che non vogliono un ritorno al passato.
Il premier, Vojislav Kostunica, non ha supportato al ballottaggio l’alleato di governo Tadic, che però è riuscito a vincere senza il suo appoggio. Quali riflessi avrà questa scelta sulla tenuta dell’attuale esecutivo?
Credo che nelle settimane a venire Kostunica farà qualche passo indietro, e lascerà il ruolo di guida nel governo ai ministri del Partito Democratico di Tadic. Credo però altrettanto che, nel giro di un mese o due, non appena sarà scemata la forza della vittoria elettorale di Tadic, Kostunica tenterà, e ne ha ancora la potenzialità, di recuperare nuovamente la plancia di comando. Dico questo col pensiero rivolto al grande problema irrisolto per il paese, e affrontato solo marginalmente nella campagna elettorale, la questione del Kosovo. Tornando alla metafora del referendum sull’Europa, è proprio il Kosovo il nodo che può rimettere in discussione il risultato di domenica scorsa, visto che può creare un senso di frustrazione ed umiliazione nell’elettorato e cambiare radicalmente il panorama politico, ridando fiato alle forze che non vogliono l’Europa.
Ma perché né Tadic né Nikolic ha deciso di inserire il Kosovo al centro della propria campagna elettorale?
Varie ragioni hanno portato i candidati a non forzare lo scontro sul tema del Kosovo: la prima è dovuta al fatto che sulla questione kosovara le posizioni dei contendenti sono vicine, e quindi non c’era molto da discutere sull’argomento, o con cui attaccare l’avversario. L’altra è stata la percezione di entrambi i candidati, in questo particolare frangente, di poter mobilitare con maggior successo gli elettori puntando su temi diversi. Per Tadic il tema cardine è stato quello dell’integrazione europea, per Nikolic quello della giustizia sociale.
Quali conseguenze potrebbero avere i risultati di domenica sulla questione kosovara?
Credo che la considerazione più importante, a seguito di questa tornata elettorale, in particolare riguardo alla questione kosovara, sia proprio constatare che gli elettori possano mobilizzarsi intorno a temi diversi dal Kosovo e che, sul lungo periodo la questione perderà peso nella vita del paese, scivolando lentamente fuori dalla sua agenda politica. Naturalmente la Serbia dovrà affrontare in modo estremamente delicato il tema “Kosovo” almeno una volta ancora, ma nel giro di un anno, un anno e mezzo, le cose possono cambiare, e nuovi temi prendere finalmente il sopravvento.
Gli elettori, col voto di ieri, hanno voluto dire che l’Europa è più importante del Kosovo?
Sì, ma solo in parte. La vittoria di Tadic segnala effettivamente che la maggioranza dei cittadini serbi vedono il futuro del paese nell’Ue. D’altra parte, però, non bisogna dimenticare che il margine tra i due contendenti è stato davvero limitato, appena 130mila voti. Se lo scarto fosse stato più sostanzioso, sopra il mezzo milione di preferenze, allora si sarebbe potuto parlare di una scelta europeista chiara e irreversibile. Invece, più di due milioni di persone hanno votato per un candidato come Nikolic, che ha un una posizione antieuropea e un’ideologia nazionalista, che nel passato ha avallato la violenza interetnica, e che continua a dichiarare pubblicamente che gli incriminati per crimini di guerra non dovrebbero essere arrestati né consegnati al tribunale dell’Aja. Questi risultati rendono chiaro che il paese non ha ancora scelto una volta e per tutte la direzione che intende prendere.
Subito dopo la presentazione dei risultati, Tadic ha dichiarato di essere pronto a dialogare con lo sconfitto Nikolic. Cosa significa politicamente questa dichiarazione?
Non credo ci sarà alcun dialogo politico. Piuttosto interpreto le dichiarazioni di Tadic come la presa di coscienza del messaggio lanciato dagli elettori che hanno votato per Nikolic, e cioè cha la giustizia sociale è un tema centrale, che le forze al governo devono affrontare con più decisione nel prossimo futuro.
Tomislav Nikolic deve affrontare una nuova sconfitta. Quali saranno le conseguenze sulla sua posizione politica, e su quella del partito radicale?
Io non credo sia molto importate ragionare sul futuro politico di Nikolic, quanto appunto su quello della formazione politica che guida. Dubito seriamente che il partito radicale possa trasformarsi seriamente in una forza politica realmente, e non solo retoricamente concentrata sui problemi della giustizia sociale, fino a quando la questione del Kosovo sarà in cima all’agenda politica del paese. Questo perché il Kosovo rappresenta un terreno fin troppo fertile per una mobilitazione basata sulla retorica nazionalista, e fornisce un forte sostegno a chi ancora sostiene che, a prescindere dai problemi che affliggono il paese, la priorità sia quella di combattere “il nemico”, rappresentato di volta in volta da americani, albanesi, croati o dall’Unione Europea. Fino a quando la questione kosovara sarà centrale, il partito radicale resterà forte, ma non avrà stimoli a portare avanti un vero cambiamento interno.
L’Unione Europea aspettava una vittoria di Tadic. Ora, che cosa aspetta la Serbia dall’Unione Europa ? A Belgrado è giudicato sufficiente l’ “accordo politico” proposto da Bruxelles, e che dovrebbe essere firmato il 7 febbraio?
Per il governo serbo, naturalmente, sarebbe stato meglio firmare l’accordo “vero”, quello di Associazione e Stabilizzazione, ma anche questa formula sostitutiva è positiva per la Serbia, soprattutto perché fa esplicito riferimento all’abolizione del regime dei visti. Sono proprio queste concessioni tangibili quelle considerate più importanti dal popolo serbo, e le forze pro europeiste nel paese hanno bisogno di atti concreti di questo tipo per dimostrare alla gente che l’Europa ci vuole davvero. Sono convinto che l’accordo politico verrà firmato, perché ora le forze che lo sostengono sono nella condizione di farlo. Kostunica, non farà troppi problemi per impedire la firma, adesso che la sua posizione si è indebolita, ma tenterà probabilmente di sabotarlo quando dovrà essere ratificato in parlamento, nei prossimi mesi. Per portare davvero in porto l’accordo, per le forze europeiste e la stessa Ue sarà un momento da affrontare con estrema attenzione, soprattutto nel caso in cui la ratifica arrivi in parlamento dopo una dichiarazione di indipendenza da parte di Pristina.