I rifugiati bosniaci sparsi in tutta Europa aiutano ad identificare i morti senza nome. Un reportage dall’Olanda sulle nuove indagini condotte con l’analisi del dna alla ricerca degli scomparsi delle guerre in ex Jugoslavia
Di Lauren Etter* da Rotterdam, Utrecht e L’Aja, per IWPR, Tribunal Update No 377, 15 ottobre 04
Tradotto da: Carlo Dall’Asta
L’ultima visione che Hasan Saracevic ha avuto della sua casa, prima che fosse divorata dalle fiamme, è stata quella del suo vicino che gettava una bomba a mano attraverso una delle finestre.
Sua sorella, costretta a letto, troppo ammalata per mettersi in viaggio quando il grosso della famiglia fuggì dalle forze serbe che si erano impadronite della loro città, Vlasenica, nel 1992, giaceva impotente nella casa mentre le fiamme la invadevano diffondendosi voraci. Suo figlio, il nipote di Hasan, corse verso la casa in un disperato tentativo di salvare la madre – e passò su una mina antiuomo piazzata da poco. Rimase ucciso sul colpo.
Nel giro di pochi minuti, Saracevic aveva perso due cari parenti, la sua casa e la vita pacifica che conosceva.
Più di un decennio dopo, in un mite giorno autunnale a Rotterdam, Saracevic - ora settantenne - siede nell'attico soleggiato di una tradizionale casa olandese mentre una donna con un camice bianco preleva un campione del suo sangue.
I camici e le immacolate attrezzature mediche contrastano acutamente con i muri rivestiti di legno e il tappeto di un arancione carico che ricopre il pavimento di questo improvvisato ambulatorio per prelievi, dove altri rifugiati bosniaci attendono pazientemente in fila di donare campioni di sangue.
Saracevic, che ha vissuto in Olanda negli ultimi 11 anni, spera che il suo campione sanguigno aiuterà la Commissione Internazionale per le Persone Scomparse, ICMP, con sede a Sarajevo, ad identificare i resti di sua sorella in mezzo ai molti altri trovati nelle fosse comuni della Bosnia.
Le "impronte" del DNA estratte dal sangue dei donatori saranno confrontate con quelle estratte dalle migliaia di ossa riesumate dalle fosse comuni - fornendo un nome a spoglie anonime e dando ai parenti la possibilità di seppellire i loro cari.
Nelle prime due settimane di ottobre, l'unità mobile di raccolta del sangue dell'ICMP ha visitato città in sei paesi europei - Austria, Danimarca, Germania, Slovenia, Svizzera e Olanda - portando avanti questa indagine di medicina legale su vasta scala.
Fino a poco tempo fa, le analisi del DNA erano state utilizzate principalmente nelle investigazioni criminali, normalmente come ultima possibilità. In Bosnia erano stati impiegati i tradizionali metodi della medicina legale come le impronte digitali, l'identificazione visiva, le prove circostanziali e l'analisi, per identificare molte delle - si stima – 44,000 persone ancora disperse dopo la guerra.
Ma questi metodi, da soli, non sono sufficienti ad identificare le vittime recuperate dalle fosse comuni che continuano ad essere scoperte, quasi ogni settimana. Il 5 ottobre, un nuovo sito è stato identificato a Rogatica nella Bosnia orientale, dove circa 270 persone erano scomparse durante la guerra.
I corpi in queste fosse sono stati a volte riesumati e riseppelliti più volte per cancellare dei crimini, e altri sono stati ricoperti di calce nel tentativo di distruggerli.
Questi tentativi violenti di solito finiscono con cadaveri smembrati in parti, pressochè impossibili da identificare senza sofisticate analisi del DNA.
Si stima che 25,000 persone siano ancora disperse in Bosnia. Dal 2000, l'ICMP ha raccolto più di 61,000 campioni di sangue e circa 17,000 campioni di ossa. Il confronto ha portato a poco meno di 6,000 riconoscimenti.
L'organizzazione si è scontrata con resistenze da parte di alcune sezioni della società balcanica, particolarmente da parte di funzionari serbo-bosniaci che hanno accusato l'organizzazione di parteggiare per la popolazione musulmana.
Katherine Bomberger, a capo dello staff dell'ICMP, ha dichiarato a IWPR che quando l'organizzazione ha incominciato a lavorare nel 1996, trasmissioni radiofoniche nell'area controllata dai Serbi raccomandavano alla popolazione di non donare i campioni di sangue, sostenendo che sarebbero stati impiegati per test finalizzati a "intenzioni genocide".
All'epoca, erano occorse forze di sicurezza internazionali per presidiare le fosse comuni da poco scoperte nelle zone controllate dai Serbi, per prevenire misteriose sparizioni notturne di prove, e per fermare gli scontri tra gli astanti.
"Benchè non sia profondo come un tempo, un elemento di ciò è ancora presente", ha aggiunto Bomberger.
La ICMP è stata ancora accusata di "discriminazione" in un articolo del settembre 2004 nel giornale serbo bosniaco Glas Srpski, che sosteneva che l'organizzazione aveva riconosciuto quasi dieci volte più campioni di sangue ed ossa nella Federazione, che nella Republika Srpska.
L'ICMP fa notare che questa differenza è dovuta al semplice fatto che il numero di campioni ossei ricevuti dalla Federazione è più alto, così come la proporzione di persone scomparse di etnia bosniaca musulmana, che si aggira sull'85 per cento, supera di molto il 12 per cento di Serbi dispersi e il 3 per cento di Croati di cui ancora non si hanno notizie.
In aggiunta al trovare ed identificare i resti di queste persone scomparse, l'ICMP cerca anche di spingere i governi a rendere conto dei crimini commessi durante la guerra che ha lacerato l'ex-Jugoslavia.
"Ma tuttora, a livello sociale, essi non vengono riconosciuti", ha aggiunto Bomberger.
Hasan Saracevic e i suoi compagni rifugiati pensano che questo rifiuto può essere contrastato solo determinando cosa è successo, e accettando gli orrori del passato. "Sono venuto qui oggi perchè voglio sapere la verità", ha detto con semplicità.
Asta Zinbo, direttore del programma di iniziative sulla società civile dell'ICMP, ha dichiarato all'IWPR che un tale processo è vitale per la riconciliazione postbellica nella regione.
"Migliaia di questioni irrisolte creano lacerazioni durevoli in una società. Se rimangono senza risposta, è molto probabile che riemerga il conflitto," ha detto.
Samir Delic, organizzatore della raccolta del sangue dell'ICMP, sentite le storie dei rifugiati in fila a donare sangue nella città olandese di Utrecht, si dichiara d'accordo. "Finchè la gente non ritroverà i suoi cari, dentro di sè non avrà pace," ha detto.
"E senza di questo, non si può vivere in pace con i propri vicini."
*Lauren Etter è redattrice di IWPR all'Aja