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Bosnia, a scuola di apartheid

02.12.2005   

La persistente segregazione nelle aule scolastiche come manifestazione tangibile delle paradossali divisioni della Bosnia di Dayton. Il caso della scuola di Prozor/Rama. Sullo sfondo la disastrosa condizione del sistema dell'istruzione
Di Mirna Skrbic*, Transitions Online, 24 novembre 2005 (titolo originale: "Together but separate")

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta


Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina – Due anni dopo che una nuova legge sull'educazione primaria e secondaria in Bosnia e Erzegovina aveva promesso qualità ed equità nell'educazione per tutti i bambini, senza distinzione di appartenenza etnica, la legge resta a prendere la polvere sugli scaffali dei molti ministeri dell'Educazione del Paese.

Ma la polvere viene ora sollevata da una controversia nella entità della Federazione a predominanza croata e bosgnacca (bosniaco musulmana), che ha ancora una volta sottolineato la persistenza della segregazione etnica nelle scuole del Paese.

La Federazione è una delle due entità create dagli accordi di pace di Dayton, firmati nel novembre 1995. L'altra è la Republika Srpska (RS).

Il tema è stato proiettato sotto i riflettori dei media di tutto il Paese dopo che i partiti nazionalisti di governo, l'Unione Democratica Croata (HDZ) e il Partito (bosgnacco) di Azione Democratica (SDA) hanno creato nella municipalità di Prozor/Rama due scuole separate sotto uno stesso tetto, accordandosi per istituire una scuola bosgnacca in aggiunta all'attuale scuola croata.

Solo dopo le proteste contro il provvedimento da parte di organizzazioni internazionali, dei genitori di alcuni alunni, e di qualche organo politico, incluso un ministero statale, una seduta speciale del consiglio municipale ha abolito la scuola bosgnacca. Ma questa decisione semplicemente ricrea lo statu quo precedente all'istituzione della scuola bosgnacca: i bambini bosgnacchi devono nuovamente scegliere se ritornare in classe in una sezione staccata nel villaggio di Scipe, dove andavano prima, o se frequentare la scuola croata.

Qualunque sia la loro scelta, è chiaro che in quel Cantone i piccoli Bosgnacchi e Croati continueranno a giocare, studiare e crescere separati gli uni dagli altri. L'episodio mette anche in luce che molte autorità locali stanno semplicemente ignorando le istruzioni per ricostituire delle scuole unificate che arrivano da alcuni dei dieci governi cantonali della Federazione.

In tutto sono 54 le scuole in cui gli studenti sono separati secondo l'appartenenza etnica.

A chi spetta fare applicare la legge?

La responsabilità sull'istruzione è devoluta ai cantoni, con il Ministero dell'Istruzione della Federazione a fare da supervisore. Al livello nazionale, l'istruzione ricade sotto la competenza del Ministero per gli Affari Civili.

Comunque, l'implementazione della legge-quadro sull'istruzione primaria e secondaria e l'unificazione amministrativa e legale delle scuole spetta ai ministri dei Cantoni e ai funzionari delle municipalità; e recenti dichiarazioni, da parte sia del Ministero dell'Istruzione della Federazione che del Ministero per gli Affari Civili a livello centrale, indicano che queste istituzioni non si sentono in grado di obbligare le autorità locali ad attuare l'integrazione.

Il Ministero per gli Affari Civili, per esempio, ha dichiarato di non avere "gli strumenti necessari per controllare e sanzionare coloro che non implementano la legge".

Il tema della segregazione era già stato evidenziato nel corso di quest'anno in un rapporto della missione in Bosnia dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Il rapporto, che mirava a stimolare un dibattito sulla questione se la Bosnia stesse rispettando i suoi impegni internazionali nel campo dell'istruzione, citava le "due scuole sotto lo stesso tetto" come "forse il più vivido esempio si segregazione nelle scuole" in Bosnia e faceva notare che la pratica continuava nonostante le intense pressioni della comunità internazionale. "Gli studenti spesso entrano in queste scuole da ingressi separati e hanno intervalli separati, mentre gli insegnanti non usano la stessa aula insegnanti", sostiene il rapporto.

L'OSCE ha indicato in particolare due cantoni, "il Cantone della Bosnia Centrale e il Cantone di Erzegovina-Neretva, di cui Prozor/Rama fa parte, come "aree in cui le autorità locali continuano ad essere riluttanti a unificare le scuole".

Mentre il ministro degli Affari Civili Safet Halilovic ha espresso il suo sostegno a quegli studenti e genitori che a Prozor/Rama e in un'altra municipalità, Busovaca, hanno protestato contro la segregazione, il suo ministero può solo fare appello alla Federazione e alle istituzioni cantonali. Così ha fatto, chiedendo di verificare di fronte alla Corte Costituzionale l'ammissibilità delle decisioni prese da alcune municipalità.

L'insoddisfazione della comunità internazionale per l'attuale situazione è stata alla base della recente decisione dell'Alto Rappresentante Paddy Ashdown di usare i suoi ampi poteri per rimuovere dall'incarico il ministro dell'istruzione del Cantone della Bosnia Centrale, il croato Nikola Lovrinovic.

L'OHR ha giustificato la sua decisione dicendo che Lovrinovic non era riuscito ad implementare le leggi che prevedevano l'unificazione delle scuole. I deputati croati nel parlamento cantonale si sono a lungo opposti a queste leggi, sostenendo che violavano il loro vitale interesse nazionale, una tesi respinta dalla Corte Costituzionale.

La destituzione di Lovrinovic evidenzia non solo gli ostruzionismi a livello locale che mantengono molte scuole segregate, ma anche la mancanza di volontà ai più alti livelli di governo di punire simili comportamenti, che di fatto lascia alla comunità internazionale il compito di occuparsi del problema.

Politica e programmi scolastici

La segregazione è più che una semplice questione legale: è una tangibile manifestazione delle divisioni etniche che sono persistite in Bosnia dopo la guerra del 1992-95. Un altro esempio intrinsecamente legato all'istruzione sono le tre lingue: serbo, croato, bosniaco, che hanno preso il posto del serbo-croato. Benché esse siano del tutto mutuamente intelligibili, i nazionalisti e i tradizionalisti di ogni parte insistono perché i loro bambini siano istruiti nella lingua della propria comunità.

Zivica Abadzic del Comitato Helsinki per i Diritti Umani di Sarajevo dice che, anche se il Comitato sostiene i diritti linguistici dei diversi gruppi, avere due scuole sotto lo stesso tetto avvantaggia unicamente i partiti politici, che cercano in questo modo di costruirsi una futura base elettorale.

"Essi non considerano neanche lontanamente cosa può significare questo per la Bosnia ed Erzegovina, che è il Paese di tutti questi bambini", ha detto.

Il Comitato Helsinki ha messo in guardia contro la segregazione, descrivendola come un assalto alla civiltà. Ha anche usato il termine "apartheid" in alcune recenti proteste contro le pratiche di segregazione. "La legge-quadro sull'istruzione primaria e secondaria non accetta in nessun modo una tale pratica", ha detto la Abadzic, aggiungendo che i ministri e i dirigenti scolastici avevano bisogno di essere istruiti sulla Convenzione dei Diritti dell'Uomo e sulla Dichiarazione Universale.

"Resta l'interrogativo, se questi dirigenti riflettono i desideri e le richieste degli insegnanti e dei genitori oppure quelle dei politici", ha detto ancora. "La politica è ancora molto presente nelle scuole".

Secondo la Abdic la situazione è arrivata a equivalere a quello che lei descrive come un "autismo nazionalista": " ‘Io voglio che i mie figli studino le lingue straniere insieme alla loro lingua madre, ma non voglio che sappiano la lingua dei nostri vicini', questo è autismo. E questo autismo non è sostenibile nel contesto dell'eredità culturale bosniaca".

Ha puntualizzato che il sistema ha danneggiato le minoranze nazionali e tutti coloro costituzionalmente definiti "altri": i bambini nati in matrimoni misti, o quelli che non si considerano membri di nessuno dei tre popoli costituenti della Bosnia.

Di fatto, i programmi separati per i bambini bosgnacchi, croati, e serbi spesso non lasciano spazio per l'inclusione delle minoranze; in molte aree del Paese con una maggioranza croata o serba, i libri di testo e i programmi vengono da Belgrado e da Zagabria.

Solo una cortina fumogena?

Ma ci sono voci che chiedono di vedere il problema secondo una prospettiva più ampia. Una portavoce della missione OSCE, Elmira Bayrasli, dice che la situazione della segregazione nelle scuole è stata largamente esagerata e usata come una cortina fumogena per impedire che l'attenzione si volgesse a problemi più importanti relativi alla riforma dell'istruzione.

"Invece di parlare di due scuole sotto lo stesso tetto, i politici dovrebbero parlare della qualità dell'istruzione che i loro bambini stanno ricevendo", ha detto la Bayrasli. "Ma di questo argomento non si parla".

Ha detto che la situazione era manovrata politicamente, per impedire che la riforma dell'istruzione andasse avanti.

La Bayrasli ha detto che le 54 scuole segregate dovevano essere viste nel contesto di molte altre, integrate, presenti in tutto il Paese.

Quello a cui mira l'OSCE, dice la Bayrasli, è rimuovere gli ostacoli politici alla riforma dell'istruzione, dando a organizzazioni come il Consiglio d'Europa, l'UNICEF, o un progetto finanziato dagli U.S.A. e gestito dalla ONG Civitas l'opportunità di partecipare fornendo la loro consulenza tecnica.

Anche se l'OSCE attacca la burocrazia statale e i dirigenti scolastici, la Bayrasli sostiene che non è compito della sua organizzazione dir loro cosa devono fare.

"Quello che noi gli diciamo è: i vostri rappresentanti hanno approvato la legge, voi dovete agire secondo quella legge. È diventata una questione di legalità. Si tratta di rispettare la legge e adeguarsi agli standard internazionali", ha detto.

"L'OSCE non ha obbligato il parlamento bosniaco ad approvare la legge-quadro sull'istruzione primaria e secondaria, né ha intimidito o minacciato nessuno perché firmasse gli impegni che i rappresentanti eletti del popolo bosniaco hanno liberamente sottoscritto."

"È quel tipo di persone a cui piace molto vomitare retorica quando gli conviene. Con un voltafaccia poi rimproverano gli altri di fare la stessa cosa e trasformano in vittime i genitori e i bambini di questo Paese: noi stiamo cercando di tenerli legati alle responsabilità che hanno verso gli impegni che hanno preso", ha detto la Bayrasli.

Ha spiegato che dei rappresentanti eletti in Bosnia hanno presentato nel novembre 2002 al Consiglio per l'Implementazione della Pace, "il principale organo decisorio internazionale per l'implementazione della pace in Bosnia", una strategia di riforma dell'istruzione articolata in cinque punti, un documento che dimostrava che essi erano consapevoli che la Bosnia aveva un urgente bisogno di modernizzare il settore dell'istruzione.

"È davvero deludente che dei funzionari prendano certi impegni e poi non li portino a compimento", ha commentato la Bayrasli.

Benché sia visibile un progresso in alcuni settori dell'istruzione, l'OSCE ed altri organismi internazionali indicano la quantità di cose che restano ancora da fare come prova del fatto che il diritto dei bambini all'istruzione non è sempre preso sul serio. Lo stesso rapporto dell'OSCE cita vari recenti rapporti, incluso il Rapporto della Commissione Europea contro il Razzismo e l'Intolleranza, che fa eco alla preoccupazione che gli standard stabiliti nella strategia di riforma dell'istruzione concordata con la comunità internazionale non siano stati "applicati con sistematicità in tutto il Paese, e che le autorità locali non abbiano ancora acquisito un sufficiente controllo del processo di riforma".

La Bosnia ed Erzegovina, per esempio, deve ancora sviluppare una legislazione sull'istruzione prescolare, su quella professionale e su quella successiva alla scuola secondaria, mentre le leggi di livello inferiore (quelle cantonali) devono essere armonizzate con la legge-quadro sull'istruzione primaria e secondaria, e quelle che sono state armonizzate devono ancora essere implementate.

Altre serie questioni vanno a contrastare le promesse di una istruzione di qualità. Tradizionalmente, l'istruzione primaria durava otto anni. Da allora è stata portata a nove anni, ma alcune aree, in particolare alcuni cantoni della Federazione, devono ancora implementare il cambiamento. Anche i corsi di studi fondamentali, comuni, non vengono applicati uniformemente, e questo genera discrepanze nei programmi scolastici. Gli standard di insegnamento variano. Manca una riforma dell'istruzione e formazione professionale, e sta diventando chiaro che il collegamento tra le richieste del mercato del lavoro e il sistema educativo è debole.

In molte parti del Paese non per tutti le scuole sono accessibili. I bambini con esigenze particolari spesso non hanno i sussidi di cui avrebbero bisogno, e alcuni bambini vivono semplicemente troppo lontano per frequentare le lezioni. Anche se ci sono degli esempi positivi, certi figli di rimpatriati o certi bambini Rom faticano ad integrarsi nelle scuole di alcune parti del Paese.

In una seduta speciale, il parlamento della Federazione ha recentemente chiesto alle autorità statali di porre fine alla pratica della segregazione, domandando al Consiglio dei Ministri, il governo centrale della Bosnia, di disporre misure legali e amministrative per unificare le scuole, e di annullare tutte le decisioni prese da autorità di livello inferiore che incoraggiano la segregazione e la discriminazione nell'istruzione.

Ma simili dibattiti offrono solo vaghe promesse ai genitori scontenti di vedere i figli costretti a frequentare scuole segregate. Ci sono stati sviluppi positivi che sono pubblicizzati dai media, come il ginnasio di Mostar, una scuola superiore amministrativamente unificata ma con due diversi corsi di studi e programmi. Ma il perdurare della segregazione di alcuni giovani bosniaci sta rafforzando la percezione che le divisioni etniche sono ancora forti come sempre e, come sostengono alcuni, perfino maggiori.

Qualunque direzione prenda il dibattito, in un Paese in cui la Costituzione dà a Bosgnacchi, Serbi e Croati il diritto a una propria lingua, ogni passo verso una possibile coesistenza appare probabilmente difficile.


*Mirna Skrbic è corrispondente di TOL a Sarajevo
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