A Cannes c’è Ceylan, “l’Antonioni turco”
20.05.2008
Da Cannes,
scrive Nicola Falcinella
Nuri Bilge Ceylan
Uno dei registi più apprezzati dal pubblico e dalla critica, Nuri Bilge Ceylan si è persino meritato il soprannome di “Antonioni turco”. Il suo “3 scimmie” è in concorso al festival francese. Degno di nota anche “Boggie” del romeno Radu Muntean
Quattro film, dei quali gli ultimi due (“Uzak - Lontano” e “Iklimler - Il piacere e l’amore”) premiati a Cannes e molto lodati dalla critica internazionale, hanno fatto del turco Nuri Bilge Ceylan uno dei nomi più in vista del cinema contemporaneo. E uno degli sguardi più originali e penetranti sulle relazioni umane. “Uc maymun - 3 Monkeys”, presentato in concorso al 61° festival francese, lo conferma, anche se forse non ha la compiutezza e la chiarezza dei due precedenti.
“Tre scimmie” è una storia familiare che ricorda il detto delle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. I componenti, padre, madre e figlio non si rendono conto o fanno finta di non rendersi conto di quel che accade per non dover accettare la realtà. Tutto è chiuso tra un incidente stradale e un delitto passionale, ma entrambi non si vedono. Un uomo politico guida di notte mentre attende il risultato delle elezioni e investe un uomo uccidendolo. Per evitare lo scandalo chiede al suo autista di assumersene le responsabilità e andare in carcere per un anno in cambio di una somma di denaro. Ma il politico e la moglie dell’uomo hanno una tresca che il figlio della coppia non vuole accettare. Sembra non accadere nulla nel film, eppure accade molto. Dentro le persone. E bisogna essere attenti per coglierlo.
Ceylan, “l’Antonioni turco”, inquadra gli spazi dove vivono gli uomini facendoli diventare paesaggi dell’anima come pochi sanno fare. Il politico è interpretato da Ercan Kesal, anche sceneggiatore (con Ceylan e la moglie Ebru Ceylan), che ha avuto una parentesi come candidato sindaco a Istanbul. Alla televisione si vedono le notizie del successo elettorale di Erdogan. E il parallelo tra le vite private dei protagonisti, dove tutto è inganno, e la politica viene spontaneo anche se il regista tende a ridimensionare l’interpretazione: “può essere, però a me la politica non ha mai interessato molto, mi occupo delle relazioni tra le persone” ha dichiarato.
Perfetta la misura del rumeno “Boogie” di Radu Muntean, presentato nella Quinzaine des realisateurs, che prende una situazione abbastanza standard e la racconta benissimo. Per la serie: non è tanto la materia che si affronta quanto il modo. Altrimenti i film (e la tv) diventano come la droga: bisogna sempre aumentare la dose, alzare la soglia, per provocare sensazioni forti.
Bogdan, detto “Boogie” è un trentacinquenne in vacanza al mare con moglie e figlioletto. Per caso incontra due vecchi amici, litiga con la compagna, trascorre fuori una notte brava e capisce che l’adolescenza è finita. Applausi.
Muntean ricompone il gruppo di attori - Dragos Bucur, Mimi Branescu e Adrian Vancica - che aveva già diretto in “Paper Will Be Blue” con l’aggiunta di Anamaria Marinca (“4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”). Tutti sono perfetti, compreso il piccolo Vlad, figlio del regista.
Anche qui in filigrana ma non tropo c’è la Romania di oggi. Tra Boogie che lavora troppo nella sua ditta e non ha tempo per moglie e figlio e Penescu, emigrato in Svezia ma senza troppo successo, tanto che ha lavori precari e mal pagati e si è messo con una donna più grande di lui per potersi far rinnovare il permesso di soggiorno. Le giovanissime che abbordano durante la notte avevano “quattro anni nel ‘92”, quando invece i tre finivano il liceo, e sfottono i giovani uomini: “noi non abbiamo indossato le divise ridicole che avevate voi nella scuola dei tempi di Ceasusescu”.
Tutto sembra all’insegna della superficialità, dei soldi e dell’apparenza, ma Boogie al termine della notte, quando torna dalla moglie esausto e pentito, ha capito che è ora di diventare adulti.
Muntean ha la grande capacità di girare quasi ogni scena in un’inquadratura unica, chiedendo molto agli attori ma offrendo una partecipazione emotiva impareggiabile allo spettatore.
Lunedì c’è stata la proiezione speciale “Susuz Yaz – Dry summer” (1964) di Metin Erksan, capolavoro turco dimenticato restaurato dalla Cineteca di Bologna e dalla World Cinema Foundation di Martin Scorsese.
Oggi – martedì – la Semaine de la critique presenta “Snijeg – Neve”, opera prima della sarajevese Aida Begic, già vincitrice a Cannes con i suoi cortometraggi. Sempre stasera, fuori concorso, passa “Maradona” di Emir Kusturica.