Gas di salvataggio
13.01.2009
Da Belgrado,
scrive Danijela Nenadić
Prima ancora che la Russia riaprisse i rubinetti del gas verso l’Europa, la Serbia era riuscita a far fronte alla crisi grazie all’aiuto offerto da Ungheria e Germania. Aiuto che Belgrado a sua volta ha offerto a Sarajevo
La crisi del gas che da oltre una settimana ha investito l’Europa, e in particolare i paesi balcanici, si avvicina alla conclusione. La Russia da oggi (martedì 13 gennaio) inizia a far fluire il gas attraverso l’Ucraina, e i rifornimenti del gas si normalizzeranno.
La Serbia non ha patito il freddo, nonostante la situazione fosse difficile e le forniture di gas attraverso l’Ucraina fossero state interrotte nella notte del 5 gennaio. Il rifornimento è stato però normalizzato tre giorni dopo, l’8 gennaio.
Nei giorni che hanno preceduto il Natale ortodosso, in Serbia è giunta la notizia del braccio di ferro russo-ucraino. Nonostante Dušan Bajatović, direttore generale di “Srbijagas” avesse detto ai cittadini che non c’era alcun motivo di preoccupazione, ben presto si è dimostrato che il suo ottimismo era infondato. Già il 5 gennaio al mattino erano state ridotte le forniture di gas dalla Russia verso la Serbia, mentre il blocco totale è arrivato il 6 gennaio di primo mattino.
Durante una seduta telefonica straordinaria il governo serbo ha ordinato la sostituzione del gas con altre fonti di energia e ha fatto appello al risparmio d’energia elettrica. Il gruppo di lavoro formato dal ministero dell’Energia, incaricato di seguire la situazione e di controllare il rifornimento di energia e di combustibili, ha lavorato senza interruzione.
Non era chiaro quanto gas disponesse la Serbia, e se questo fosse sufficiente per fronteggiare le conseguenze della crisi. Presto, però, si è capito che la Serbia dispone di riserve di gas appena sufficienti per garantire la normale chiusura dei macchinari e degli impianti delle fabbriche.
A Zrenjanin, Novi Sad, Kikinda, Novi Bečej, Vršac, Subotica, Inđija, Loznica, Jagodina, e nelle zone limitrofe di Belgrado e di altre città che non avevano la possibilità di passare ad altra fonte d’energia si è sfiorata la catastrofe. Mentre in Serbia da tempo non si registrava un inverno così freddo, con temperature molto al di sotto dello zero.
“Gas di salvataggio” è però giunto in primo luogo dall'Ungheria. Boris Tadić, presidente della Serbia, e il premier ungherese Fernc Ðurčanj si sono accordati per far sì che l’Ungheria dalle proprie riserve fornisse alla Serbia una determinata quantità di gas. Prima che tra i due fosse raggiunto un accordo, Dušan Bajatović della “Srbijagas” aveva cercato di assicurare la fornitura di gas discutendone con i rappresentanti della “Mol” ungherese, ma senza successo. Bajatović per il quotidiano “Politika” ha dichiarato che “a causa della crisi energetica tutti i governi dei paesi confinanti hanno messo mano alle loro riserve di combustibili, ecco perché è stato necessario un accordo politico fra stati, e il merito va a Boris Tadić”.
Poi Boris Tadić si è accordato con la Germania per le forniture di gas, cosa che ha notevolmente migliorato la capacità energetica della Serbia. “Il governo ha fatto grandi cose in questi giorni e ha dimostrato di essere pronto per rispondere ad una grossa crisi nel migliore dei modi e con grande rapidità. Da questa situazione dobbiamo trarre un insegnamento e accertare la responsabilità sul perché la Serbia non dispone di una fornitura di gas garantita in questi momenti difficili”, ha dichiarato Tadić per la Radio Televisione della Serbia.
Molta attenzione è stata suscitata dalla notizia che il presidente serbo ha reso possibile le forniture di gas alla Bosnia Erzegovina. Il presidente del Partito per l’azione democratica (SDA) Sulejman Tihić ha dichiarato di aver parlato con il presidente della Serbia, paese che per primo ha aiutato Sarajevo con le forniture di gas. “Tadić ha detto che desiderava aiutare Sarajevo, ne ha avuto l’occasione e ha reagito. Prestandoci il gas che nemmeno loro avevano a sufficenza, la Serbia ha compiuto un grande gesto, soprattutto nei confronti dei cittadini di Sarajevo, Zvnornik e altri luoghi che sono rimasti senza riscaldamento a causa della mancanza di fonti di energia”.
Tihić ha poi aggiunto che “questi e simili gesti contribuiscono fortemente ad alimentare la fiducia tra le persone”. Il presidente serbo ha ribadito che la cosa più importante è investire nell’amicizia, e che proprio grazie all’amicizia con l’Ungheria e la Germania è stato risolto il problema del riscaldamento della Serbia.
A prescindere da chi abbia risolto il problema venutosi a creare a causa del conflitto tra Russia e Ucraina, per la Serbia e per la maggior parte dei vicini balcanici resta la grande questione di come assicurare i rifornimenti di fonti d’energia negli anni a venire. Negli ultimi anni gli esperti hanno avvertito che l’energia sarà uno dei problemi cruciali dell’Europa. La Serbia dispone di una limitata quantità di petrolio e di gas sul suo territorio e ciò significa dipendenza energetica. Non sorprende quindi che negli ultimi giorni il governo e il parlamento si stiano occupando in modo intenso di questa questione.
Il vice premier Božidar Ðelić, incaricato di mettere a punto la strategia per lo sviluppo sostenibile della Serbia, ritiene che al paese sia immediatamente necessaria una nuova strategia energetica. Ðelić per l’emittente B92 ha dichiarato che la strategia adottata nel 2005 è totalmente superata. “Dal 2005 sono cambiate le circostanze al livello mondiale, così come il prezzo del gas e del petrolio. La Serbia può e deve aumentare drasticamente la sua efficacia energetica e partecipare alla messa a punto della strategia energetica europea”, ha detto Ðelić e ha concluso dicendo che “nel campo energetico non è una buona cosa dipendere da qualcuno”.
In Serbia, in questi giorni si discute sulla miglior soluzione e sulla responsabilità della crisi. Di chi è la colpa, cosa sarebbe dovuto accadere, chi dovrebbe rassegnare le dimissioni, le domande rimbalzano da ogni parte. La peggio, a quanto pare, sembra averla avuta il ministro per l’Energia, Petar Škundrić, funzionario del Partito socialista serbo (SPS), la cui revoca è richiesta in coro dai rappresentanti dei partiti d’opposizione.
Né Škundrić né i suoi colleghi ministri sono però pronti a prendersi la “piena” responsabilità per la crisi energetica della Serbia. Ma nonostante sia chiaro che la Serbia, così come gli altri paesi vicini sono un “effetto collaterale” del conflitto tra Russia e Ucraina, non è ben chiaro come mai il deposito di Banatski Dvor non era stato riempito.
Se dobbiamo credere agli attuali ministri, colpevoli sono i loro predecessori. Ivica Dačić, ministro dell’Interno e vice premier, afferma che il nuovo governo si è trovato con il deposito del gas vuoto e che questo problema esiste sin dagli anni Novanta, quando, da notare, il suo SPS era la potere. Anche Boris Tadić ritiene che la maggior parte dei problemi siano un’eredità del passato, ma è necessario accertare la responsabilità di tutti i governi dal 2000 in avanti, compreso il precedente.
E mentre si cerca di capire come si è arrivati alla crisi energetica, si accennano alcune soluzioni possibili per il futuro. L’accordo energetico sulla vendita della Industria petrolifera della Serbia (NIS), che Belgrado ha firmato con la Russia e la possibilità della realizzazione del South Stream, gasdotto che aggirerebbe l’Ucraina, oggi, dopo alcuni giorni di crisi del gas, riceve molti più commenti positivi di quanto ne aveva ricevuti nei giorni prima di Capodanno.
Il miglioramento delle proprie fonti, ossia il completamento del deposito sotterraneo di Banatski Dvor, per il quale è necessario investire 22 milioni di euro, potrebbe garantire alla Serbia giorni tranquilli nel caso di una nuova crisi energetica.
Secondo le parole di Dušan Bajatović, Banatski Dvor potrebbe produrre cinque milioni di metri cubi i gas al giorno, quantità che sarebbe sufficiente per le necessità del paese in situazioni straordinarie. Anche secondo le parole del presidente della Repubblica, questo deposito sarà una priorità, e l’inizio dei lavori è previsto per questa estate.
Infine, una delle soluzioni cui si è fatto cenno è la creazione di un deposito regionale di metano. Questa possibilità è stata sollevata nel colloquio tra Sulejman Tihić e Boris Tadić. Il presidente serbo ha proposto che questo deposito si costruisca in Serbia, mentre Tihić ha detto che di questo bisogna ancora discutere, perché è di interesse per entrambi.