Venerdì 23 luglio si terrà a Mostar la cerimonia di inaugurazione dello Stari Most. Attesi presidenti e capi di Stato. Sabato 24 la giornata dell’acqua. Dalla ricostruzione fisica alla ricostruzione sociale?
Mostar, il nuovo Stari Most
Ci sono voluti 11 anni. Il 9 novembre del 1993, le milizie croate (HVO) della autoproclamata Repubblica di Herceg Bosna l’avevano preso a cannonate, facendone precipitare le pietre nelle acque della Neretva. Non era un obiettivo militare, non era un bersaglio strategico. Su quel “bianco arcobaleno di pietra” non poteva passare niente. Era un obiettivo simbolico, lo Stari Most. I mostarini non lo chiamavano il Vecchio Ponte, ma semplicemente “Il Vecchio”, a significare quanto quel monumento rappresentasse e custodisse l’essenza stessa della città. Ed era proprio quello, il genius loci, che andava preso a cannonate. Come a Vukovar, a Sarajevo. Un carattere urbano che, in epoca di dilagante nazionalismo e razzismo, a Mostar si esprimeva beffardamente in un ponte, un simbolo intollerabile, solidissimo ancorché sottile, a guardarlo da lontano.
Era stato costruito tra il 1557 e il 1566 dall’architetto turco Hajruddin, su commissione del sultano Sulejman il Magnifico. Hajruddin aveva diretto uno sforzo collettivo, procedendo empiricamente, utilizzando maestri e tecniche orientali ed occidentali. La sua campata unica di 29 metri, in blocchi di pietra calcarea locale (tenelija, cangiante con la luce del sole), rappresentava un prodigio. Le pietre, unite da uno strato di malta, erano vincolate da un articolato sistema di staffe e perni metallici (muratura staffata), inseriti in sedi apposite scolpite e poi riempite con piombo fuso tramite canalette. Insieme alle due torri di fortificazione (Tara e Halebija), il Ponte rappresentava un unico complesso monumentale che si saldava alle due rive della Neretva: la muratura sorgeva dalle rocce e avvolgeva le sponde.
Erano occorsi dieci anni di difficili lavori. Altrettanti ne sono serviti oggi. La ricostruzione è stata diretta dalla PCU (Project Coordination Unit), organismo che rappresenta la città di Mostar coordinando i diversi attori che hanno partecipato all’opera dal punto di vista tecnico o finanziario (l’Unesco, la Banca Mondiale, il Governo Bosniaco). Tra i maggiori Paesi donatori l’Italia, la Francia, la Turchia.
Turca è stata l’impresa che si è aggiudicata l’appalto dei lavori (la ER-BU), mentre il progetto architettonico e quello strutturale sono stati italiani (la General Engineering, società fiorentina di progettazione rilievi e diagnostica, insieme al Dipartimento di Ingegneria Civile della Università di Firenze). La tedesca LGA ha realizzato le prove sui materiali, la turco bosniaca Conex le indagini geognostiche, la croata Omega il complesso che circonda il Ponte.
Sotto il profilo tecnico, il progetto dell’opera che sarà presentata venerdì ha dovuto rispondere a problematiche inedite: reintegrare un’opera storica utilizzando tutta la documentazione reperibile, aderendo allo stesso tempo sotto il profilo strutturale ai correnti standards di sicurezza europei. Le pietre originali recuperate dal fiume, non più utilizzabili, saranno esposte nel Museo della città, il Momu.
Venerdì, tuttavia, l’aspetto che sarà maggiormente sotto i riflettori di tutto il mondo sarà quello politico.
L’architettura esprime i rapporti sociali, culturali ed economici di una data epoca e luogo. I monumenti, in particolare, ne sono la rappresentazione più evidente di questo, una sorta di biglietto da visita. Non nascono a caso, né casualmente vengono distrutti. La distruzione
fisica del Ponte di Mostar è stato l’ultimo passo della distruzione portata al tessuto sociale e culturale della città. Con la avvenuta ricostruzione del “Vecchio”, possiamo finalmente considerare terminata la fase del post conflitto in Bosnia Erzegovina, si apre una nuova fase?
Alcuni commentatori, oggi, sollevano il rischio (concreto) che il nuovo Ponte rappresenti solamente un innesto, un bubbone, inserito a forza dalla comunità internazionale in un corpo ancora ferito, non ancora pronto. Non si tratta di speculazioni. La ricostruzione
fisica del Ponte non ci autorizza a ritenere che le ferite portate al corpo della città – e all’intero Paese - siano state sanate. Non si potrà contrabbandare in questo modo la giornata di venerdì.
Tuttavia, oggi non possiamo neppure trattenere la gioia per questa completata ricostruzione, così come per la ricostruzione delle decine di edifici storici o religiosi distrutti nel corso del recente conflitto. Si tratta di un patrimonio che appartiene alla nostra storia, europea, che ci viene restituito.
La reintegrazione del “Vecchio”, così come la recente traduzione di fronte al Tribunale dell’Aja di 6 capi politici e militari della cosiddetta repubblica di Herceg Bosna, che devono rispondere, insieme agli altri crimini, proprio della distruzione del Ponte, rappresentano elementi significativi anche alla luce di un possibile percorso di riconciliazione tra le comunità.
Allo stesso modo, nel quadro delle celebrazioni per la rinascita del Ponte, sabato a Mostar ci sarà anche l’importante battesimo del comitato bosniaco per un Contratto Mondiale sull’Acqua, rivendicazione simbolica ma insieme concreta di questo bene fondamentale, della sua natura pubblica, di diritto umano, del suo ruolo di unione tra i popoli. Ci saranno esponenti della società civile e del mondo politico italiani e bosniaci. Non si discuterà più di guerra e dopoguerra, di “rapporti interetnici”, ma della difesa dell’ambiente e della tutela dei diritti dei cittadini a fronte di una onda di privatizzazioni selvagge, globali. Non è ancora la fine di un’epoca, ma potrebbe davvero essere un primo passo.
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Giornata sull’acqua