di Hasan Nuhanović, 14 novembre 2008, Dani (titolo orig. Drugi pišu našu historiju)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Maria Elena Franco
Polemiche: il film "Risoluzione 819", premiato a Roma, dà un'immagine travisata del massacro dei bosgnacchi a Srebrenica? Il film del noto regista italiano Giacomo Battiato, "Risoluzione 819", una produzione franco-polacca, è stato da poco insignito del premio del pubblico al Festival del film di Roma. Racconta la vera storia di un poliziotto inviato dal Tribunale Penale Internazionale per i crimini in ex-Jugoslavia a condurre delle indagini sulla morte di 8000 bosgnacchi di Srebrenica. La prima del film è prevista per il 2 dicembre al Teatro Popolare di Sarajevo. Hasan Nuhanović, interprete nel battaglione ONU a Srebrenica, che nel luglio del 1995 ha perso la sua famiglia, autore di numerosi documentari sul massacro di Srebrenica, sostiene che il film sia un falso storico.
Una decina di giorni fa, proprio mentre tornavo da Potočari - dove insieme ad un’equipe televisiva tedesca ho realizzato un altro film documentario (tra le decine, forse centinaia di documentari che sono stati prodotti finora) sui fatti avvenuti a Srebrenica e nei suoi dintorni nel luglio 1995 – ho saputo che il regista italiano ha vinto il premio per il suo film sul genocidio di Srebrenica dal titolo “Risoluzione 819”. Ho visto la foto di una scena del film comparsa in un articolo su Avaz, e subito mi è sembrato che fosse finalmente il film che tutti aspettavamo da 13 anni. Nello scatto, che ritrae una scena della pellicola, dei criminali ubriachi di grappa e di sangue siedono attorno ad un tavolo bevendo e divorando della carne, tutto questo a pochi metri dai cadaveri; corpi gettati uno sull'altro davanti ad un edificio. Questa scena rispecchia esattamente la descrizione dell'esecuzione di massa compiuta su 1.500 – 2000 uomini e ragazzi nelle zone di Pilica, Kozluk o Grbavnica, Orahovica e Zvornik. Tale descrizione è stata data più volte come ricostruzione dei fatti durante il processo del Tribunale dell'Aja ai membri delle forze armate e della polizia della Republika Srpska. Ho pensato – ecco, finalmente un film fatto da un regista che non ha usato dei guanti di velluto né abbellimenti per “assicurarsi il gradimento del pubblico”.
Complici di genocidio
Pur piacevolmente colpito da questa notizia, allo stesso tempo ho avuto delle riserve e, posso dire, ho provato della rabbia, perché il team che ha realizzato la pellicola (ed è evidente che nessuno sapeva quasi nulla su questo film fino alla sua proiezione al Festival di Roma) non si è consultato con i testimoni oculari e con coloro che sono sopravvissuti agli avvenimenti a cui si fa riferimento.
Da anni ero fissato con l'idea di realizzare un film analogo su Srebrenica, ma tutti i miei tentativi sono falliti. Ho parlato con molte persone sia in Bosnia Erzegovina che all'estero (per non citare alcuni nomi noti del mondo della politica e della cultura) e ho proposto di utilizzare il materiale esistente, come i libri e le testimonianze, per fare una ricostruzione più valida possibile degli eventi in un film, ma invano. Io stesso ho aiutato diversi autori di libri sul genocidio di Srebrenica già dal 1995, facilitando colloqui con i testimoni, con le persone che sono sopravvissute alle esecuzioni di massa, reperendo documenti e altro materiale affinché la storia fosse la più completa e verosimile possibile e mostrasse la realtà dei fatti.
Tra questi libri si annoverano anche quello del giornalista americano David Rodhe dal titolo “End Game”, pubblicato già nel 1996 (per cui ha vinto il premio Pulitzer), e il libro del giornalista olandese Frank Westerman, scritto quasi contemporaneamente e uscito con il titolo “Lo scenario più nero”. Io ho pubblicato il mio libro nel 2003, “Sotto la bandiera dell'ONU - la comunità internazionale e il crimine di Srebrenica”; una ricostruzione documentata degli avvenimenti, compreso il ruolo vergognoso della comunità internazionale (ONU, Olanda, NATO e Ue). Per l'esattezza, definirlo “ruolo vergognoso” non è abbastanza preciso, perché si tratta di complicità nel crimine, che è stato confermato trattarsi di genocidio. Quindi sono complici di genocidio.
Mentre in tutti questi anni ho pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui saremmo riusciti a trovare i soldi, vale a dire dei finanziatori interessati a girare un tale film, temevo che “qualcun altro” lo facesse prima di noi (mi riferisco a noi che siamo sopravvissuti a tutto questo), perché, lottando per 13 anni contro coloro che continuano a non voler accettare tutta la verità (e ce ne sono molti), ho capito che c'è sempre un errore che sfugge – un errore di percezione, ovvero un'insufficiente o talvolta superficiale comprensione di quanto è accaduto. Mi riferisco soprattutto al ruolo della cosiddetta comunità internazionale – perché per quanto sia forte la resistenza della cerchia dei negatori – coloro che negano il genocidio tra i serbi (in Bosnia Erzegovina, Serbia e diaspora), è ancora maggiore la resistenza nella cerchia di intellettuali dei paesi dell'Europa Occidentale, che non vogliono né possono accettare il fatto che ciò che chiamiamo comunità internazionale sia complice di genocidio.
Realtà e cinema
Cercando in internet articoli sul film del regista Giacomo Battiato “Risoluzione 819”, ho trovato anche delle fotografie che mostrano 5-6 scene del film. Subito ho pensato che si trattasse di una ricostruzione abbastanza fedele, almeno per quanto riguarda le scene, ma poi ho visto la foto che costituisce il motivo principale per cui ho scritto questo articolo: un soldato UNPROFOR, alto e di bell'aspetto, a lato di un autobus a Potočari in cui sono appena saliti donne e bambini, prende, afferra per il collo un ufficiale serbo e, contemporaneamente, un altro soldato serbo gli punta la pistola alla testa.
Di primo acchito non ho capito di cosa si trattasse, ma poi mi ha preso una terribile rabbia. Un vero e proprio falso storico, la rappresentazione di ciò che non è mai accaduto. Di fatto è proprio ciò che ho sempre temuto, una di quelle scene che pensavo si sarebbero potute vedere in un film se l'avesse fatto qualcun altro e non noi.
Nella foto-scena del film si vede un ufficiale UNPROFOR con l'uniforme dell'esercito olandese (si deve riconoscere che i cineasti hanno dimostrato una grande cura dei dettagli). In testa il berretto blu e in vita la cintura in cui ci sarebbe dovuto essere il fodero con la pistola. Quindi una rappresentazione e un atteggiamento che in uno spettatore medio, profano, suscitano rispetto. Ed ecco il suo ragionamento! Risulta anche un eroe! Solo che questo non è mai esistito. Questo non è mai avvenuto.
Nella realtà, in quei giorni di luglio 1995, nessun soldato, né ufficiale UNPROFOR a Potočari, quindi membro del battaglione olandese, ha mai indossato quest'uniforme fuori dalla base. E non si tratta affatto di uniforme, ma del fatto che tutti, ma proprio tutti gli olandesi che si trovavano fuori dalla base (per qualsiasi ragione) indossavano pantaloni corti, t-shirt e berretti da baseball blu con il simbolo ONU. Nessuno di loro girava armato perché avevano ricevuto l’ordine di lasciarle alla base “per non provocare in alcun modo i serbi”. Allo stesso tempo, tutti i militari olandesi che all'interno della base vennero in contatto con i 5000-6000 profughi bosgnacchi erano armati di tutto punto, con elmetti, giubbetti antiproiettili e armi da fuoco. Dunque, gli olandesi (e non i serbi) il 13 luglio 1995, verso mezzogiorno, vestiti in uniforme come quella indossata dall’attore nel film di cui stiamo parlando, hanno fatto uscire tutti i bosgnacchi dalla base UNPROFOR e li hanno consegnati nelle mani dei militari serbi che li aspettavano all'entrata del campo. Tutti i ragazzini e i giovani sono stati condotti fuori e, poi, uccisi.
Testimone contro il generale Krstić
In base a questo, gli olandesi non solo non hanno fatto nulla per evitarlo, ma hanno addirittura permesso che ciò avvenisse così come ho appena descritto e in altri modi, che delineo nel dettaglio nel mio libro. Darò subito tutti i miei averi a quel soldato olandese o ufficiale che, guardandomi dritto negli occhi, mi dirà che lui, o qualsiasi altro membro del battaglione olandese, ha agito così come ci mostra la scena del film, ragione per cui scrivo questo testo. Poi mi scuserò pure perché ho mosso l’accusa contro il suo paese al processo e subito la ritirerò.
Quando la tv Hayat ha mostrato un trailer del film, inclusa questa scena, ho subito contattato l’Associazione delle madri dell’enclave di Žepa e Srebrenica di Sarajevo per mostrare loro le foto della scena contestabile. Ovviamente loro hanno immediatamente convenuto che si tratta di un vero e proprio falso storico, ma mi hanno anche informato che insieme al Ministero della cultura del cantone di Sarajevo si erano già messe in contatto con il regista inviandogli una lettera di complimenti e ringraziamenti e invitandolo a mostrare, sotto il loro patrocinio, la prima del film in Bosnia Erzegovina (più esattamente a Sarajevo).
In questo modo l’associazione, non essendo a conoscenza di scene come questa, ha dato al regista un assegno in bianco, ovvero le madri si sono complimentate per un film che nessuno di noi ha ancora visto.
Alla luce di tutto questo, non credo che il regista, lo sceneggiatore o qualsiasi persona abbia deciso di far rientrare queste scene nel film (tra centinaia e centinaia di scene possibili) abbia avuto l’intento esplicito di amnistiare l’UNPROFOR (ONU o gli olandesi), perché sarebbe potuto avvenire per sbaglio. Ma come la mettiamo se così non fosse? Per quello che ho colto, l’equipe che ha fatto il film ha realizzato la sceneggiatura consultandosi con il ricercatore francese Jean-Rene Ruez, che per anni, dopo la guerra (più o meno fino al 2001 o al 2002) è stato il capo del team d’indagine dell’ICTY, incaricato della raccolta delle prove sul campo in Bosnia Erzegovina. Io conosco molto bene Jean-Rene, un tempo eravamo in amicizia. Circa 6-7 anni fa, per motivi personali, ha lasciato il suo lavoro d’indagine alla Procura dell’ICTY, e a quel tempo ha avuto alcuni problemi privati che lui pensa siano stati causati dalla sua ossessione per Srebrenica. Questo gli ha comportato anche problemi di salute. A quanto ho capito, il film, o almeno una parte, è dedicato al suo lavoro. In realtà il suo lavoro non ha nulla a che vedere con la scena contestata. Jean-Rene ha lavorato alla ricostruzione dell’episodio che più volte ha presentato come testimone esperto di fronte ai giudici del Tribunale dell’Aja nel processo contro il generale Krstić.
L’ultima parola è di Tito
Dunque, chi ha messo la scena contestata nel film e perché? Si tratta di uno stereotipo, il pensiero generale per cui in tali situazioni si trova sempre qualche ragazzo “with balls” che, ecco, frustrato per il comportamento dei militari serbi, se non altro ne afferra uno per il collo e poi “allenta la presa” quando un altro soldato serbo gli punta la pistola alla testa. Proprio come a Hollywood. Questa scena, se non sarà eliminata dal film (ed è proprio ciò che chiederò al regista) nei prossimi 50 anni racconterà alle generazioni che verranno che gli uomini UNPROFOR sono stati costretti a fare certe cose, vale a dire che non hanno potuto fare nulla perché erano “at gun point” (perché gli è stata puntata la pistola alla testa). Così, ecco, le forze della Republika Srpska hanno potuto fare questo perché l’intera UNPROFOR, tutta l’Europa, tutta la Nato, sono stati tenuti “at gun point” finché le persone venivano separate e uccise. Questa scena, questo ufficiale dell’UNPROFOR, resteranno impressi nella mente dei futuri spettatori di questo film, che lo prenderanno come verità indiscussa. E se tutto il resto del film mostrasse la ricostruzione precisa e fedele dei tragici avvenimenti, questa scena resterà eccezionalmente controversa. Perché attraverso questa scena lo spettatore ottiene un’immagine dell'atteggiamento del resto del mondo verso gli esecutori e verso le vittime – l’Europa personificata nell’UNPROFOR, dopo il tanto ripetuto “mai più”.
No, né gli uomini dell’UNPROFOR, né gli olandesi, nessuno di loro ha fatto nemmeno il più piccolo gesto per afferrare un serbo al collo, espressioni che fanno inorridire. Nessuno di loro. Sono stati servili con i serbi, hanno fatto tutto ciò che i serbi gli hanno chiesto, e ancor di più. Non possiamo permettere che questa scena venga mostrata con il nostro benestare, anche se qualcuno ci dirà: questa è soltanto una scena, il resto del film ha mostrato gli eventi in modo veritiero.
Noi questo non lo sappiamo e non possiamo dare a nessuno totale fiducia prima di vedere il film. Quando un giorno ho parlato ad un amico della mia frustrazione per questa scena, lui mi ha raccontato questo aneddoto: finito di girare il film “Sutjeska”, Tito invitò i suoi consiglieri che erano sopravvissuti a vedere il film prima che venisse distribuito nei cinema. Questi videro il film e insorsero dicendo che il film non mostrava neanche l’1% di ciò che accadde. Tito gli disse: so che è così, ma lasciate almeno che la gente veda questo 1%.
Questa volta non c’è Tito a dirci queste parole, e non si tratta nemmeno di quanto il film riporti dell'intera vicenda, ma di come si fornisca una falsa rappresentazione in relazione a determinati avvenimenti.
Quando a Parigi ho incontrato del tutto casualmente Danis Tanović, al tempo il suo film era già candidato all’Oscar e io l’avevo già visto. Io ero lì perché il giorno successivo avevo un confronto con i rappresentanti della commissione parlamentare francese che doveva pubblicare il suo rapporto su Srebrenica (in cui hanno ripulito in buona misura e ingiustificatamente il ruolo del loro paese). Ho riconosciuto Danis perché era mio compagno di università alla facoltà di meccanica a Sarajevo (1988). Non sapevo nemmeno fosse lui quel Danis. Gli ho dato la mano, ho commentato il suo film e gli ho proposto di lavorare assieme all’idea della pellicola su Srebrenica. Mi ha detto che era un progetto in cui lui non si sarebbe arrischiato. In seguito ho scritto alcuni articoli sul suo film e mi ricordo di avergli detto allora di avere alcune annotazioni sulla sua pellicola perché non vi erano scene che descrivessero il carattere della guerra in Bosnia Erzegovina (villaggi distrutti, genocidio, liquidazioni di massa, profughi) e Danis mi ha risposto: “Tu hai avuto la tua guerra, io ho fatto il mio film sulla mia guerra, così come io l’ho vissuta”.
Chi ha iniziato la guerra?
Io spero che dopo il film Risoluzione 819 non resterà alcun dilemma a riguardo come ha fatto il film di Tanović –. La pellicola di Tanović non dà una risposta a questa domanda, ma pone la questione, che resta la domanda centrale del film (anche se il regista forse non aveva questa intenzione). E‘ forse possibile dare una risposta a questa domanda? O anche per questo sembra sia necessario un consenso in chiave nazionale, in conformità con la Costituzione della Bosnia Erzegovina? Come se la risposta a questa domanda potesse giustificare i lager, le liquidazioni di massa, le violenze e altre bestialità inimmaginabili, il genocidio.
Io spero sinceramente che il film di Giacomo Battiato contenga questa sola scena controversa, che deve essere eliminata dal film prima della sua distribuzione ufficiale.