Balcani Cooperazione Osservatorio Caucaso
mercoledì 07 settembre 2022 15:07

 

Sarajevo 819

04.12.2008    Da Sarajevo, scrive Andrea Rossini

La presentazione a Sarajevo di “Risoluzione 819”, film francese sulla strage di Srebrenica diretto dall'italiano Giacomo Battiato. Cinema, storia e elaborazione del passato. Le reazioni del pubblico, il commento del regista
“Sono un po' preoccupato per la proiezione di domani [martedì, ndr]. Vengo qui da straniero a parlare della loro storia. La mia motivazione era molto forte, e ho fatto questo film con assoluta onestà. Però non so quali potranno essere le reazioni qui...”

La tensione confidataci dal regista di “Risoluzione 819”, Giacomo Battiato, la sera prima della presentazione a Sarajevo, si scioglie dopo un'ora e mezza. Il pubblico del Narodno Pozorište ha assistito alla proiezione in religioso silenzio. Nella sala ci sono i sopravvissuti, i familiari delle vittime, le donne di Srebrenica. Quelli che erano lì nel luglio del 1995. Osservano con doloroso stupore la ricostruzione cinematografica delle stragi. La storia della caduta dell'enclave è raccontata in maniera corretta. Un applauso timido parte sui titoli di coda. Lentamente diventa un'ovazione. Amor Mašović, uno che ha dedicato la propria vita alla ricerca degli scomparsi, si alza al centro della sala invitando gli altri a fare lo stesso. Ci sono Nataša Kandić, Florence Hartmann, l'antropologa Ewa Klnowoski e molti altri che in questi anni hanno contribuito alla ricerca della verità su Srebrenica. Finalmente Giacomo Battiato raggiunge il palco, esprimendo con semplicità la propria gratitudine al pubblico sarajevese.

La sera prima il regista aveva espresso le proprie motivazioni ai giornalisti: “Ho deciso di fare questo film per due motivi. Ci sono ottimi documentari su Srebrenica, ma un film parla alle emozioni e permette di raggiungere un più ampio numero di persone. Ho voluto raccontare la sofferenza dei bosniaci ma anche la passività della comunità internazionale, il senso di colpa per aver lasciato che questo accadesse. Insieme a questo, però, mostrare anche un elemento positivo, la storia di un investigatore francese [Jean René Ruez, ndr] e di quanti hanno contribuito a che la verità venisse rivelata e i criminali fossero giudicati.”

La presentazione era stata preceduta dalle polemiche sollevate da Hasan Nuhanović, interprete delle Nazioni Unite che a Srebrenica ha visto morire i propri familiari, e che ha infine deciso di citare in giudizio il governo olandese per non averli protetti. In un articolo per il settimanale Dani, Nuhanović aveva manifestato le proprie perplessità dopo aver visto un'immagine del film che mostrava lo scontro tra un casco blu e un militare serbo. A Srebrenica non è successo niente di tutto questo – ha detto Nuhanović, augurandosi che il film non manipolasse la storia riabilitando le Nazioni Unite. L'equivoco è stato chiarito dopo un incontro tra Nuhanović e Battiato qui a Sarajevo. La visione di “Risoluzione 819”, del resto, non lascia dubbi, il messaggio rispetto al ruolo della comunità internazionale è molto chiaro. Il sistema viene descritto impietosamente, a partire dai disperati colloqui telefonici del comandante olandese a Srebrenica (Karremans) con il generale delle Nazioni Unite a Zagabria (Janvier), che nega gli interventi aerei. Poi, i soldati olandesi consegnano uniformi e mezzi ai militari serbi, che fanno strage travestiti da caschi blu. La scena che aveva provocato l'articolo di Nuhanović conferma proprio questo: un ufficiale olandese, per un momento, cessa di essere un soldato, reagendo da essere umano alla violenza contro una ragazza. Il tempo di un istante, e il militare rientra nel ruolo assegnato al “Dutchbat” nell'estate del '95 a Srebrenica: non fare nulla. Il film ci va pesante, sulla comunità internazionale. In una scena successiva, girata in un immaginario posto di blocco nella Bosnia post Dayton, dei soldati americani lasciano passare un convoglio di macchine con a bordo il ricercato Radovan Karadžić, perché “è meglio evitare problemi.”

Incontriamo Giacomo Battiato a margine della presentazione del suo film al pubblico bosniaco, fresco della vittoria al Festival di Roma: “Se qualcuno mi avesse fatto scommettere avrei perso - ci spiega. Non avrei mai pensato di vincere a Roma. Il fatto che il pubblico abbia scelto questo film mi ha lasciato stupito, significa che la forza del messaggio ha colpito.”

La conferenza stampa (da sinistra: Amor Mašović, Branka Prpa, Ewa Klnowoski e Giacomo Battiato)
Perché secondo lei?

C'è il racconto del dolore, e la partecipazione ad un dolore, e insieme il senso di colpa, lo scoprire che noi in quei giorni eravamo in spiaggia mentre a pochi chilometri di distanza succedeva una cosa inaudita.

In Italia non si sa nulla di Srebrenica?

Molto poco, molto superficialmente. Mi ha stupito anche la risposta dei media, dopo che il film è stato premiato a Roma. I giornali hanno cominciato a parlare di Srebrenica, la gente mi diceva “ma io non sapevo niente di tutto questo, ma è vero, come è possibile?”

“Risoluzione 819” è una co-produzione francese, italiana e polacca. Le musiche sono di Morricone (“Ennio ha amato questo film fin dalla prima idea”, sottolinea Battiato). Girato in Repubblica Ceca a marzo, aprile e maggio di quest'anno, ha un andamento serrato a metà tra un film di guerra e CSI, la fortunata serie televisiva sugli investigatori americani. Per il pubblico europeo, per chi davvero è riuscito ad arrivare fino ad oggi senza sapere nulla di Srebrenica, è un film fondamentale. Anche perché è l'unico. Lo spettatore uscirà dalla sala sapendo che la peggior strage avvenuta in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale è stata commessa contro i musulmani, che oltre 8.000 persone sono state massacrate in pochi giorni e che i loro cadaveri sono stati dispersi in tutta la Bosnia orientale, che in questo Paese ci sono ancora migliaia di desaparecidos e donne che aspettano di sapere dove sono finiti i propri cari. Allo stesso tempo però, temo, quello spettatore uscirà dal cinema pensando che i serbi sono tutti dei tagliagole, e la Republika Srpska una terra di puttane e mafiosi. Ci sarà almeno un serbo buono, un pentito, uno che collabora con la giustizia o riconosce le responsabilità, anche anni dopo la fine della guerra? Nel film non si vede. A un certo punto si allude al filmato degli Scorpioni. Sarebbe stato importante segnalare che è stata un'organizzazione di Belgrado a presentare quel video all'Aja. In ogni caso, a parte una parentesi di cui forse non si sentiva la necessità (la storia d'amore tra l'investigatore e l'antropologa), è sicuramente un film da vedere. Già, ma chi lo vedrà? In conferenza stampa un collega bosniaco aveva chiesto ingenuamente se verrà proiettato a Srebrenica, Zvornik, Milići... Banja Luka? Attimo di imbarazzo. Qualcuno ha replicato che era presto per dirlo, dato che il film non ha ancora una distribuzione in Bosnia Erzegovina. Poi però il ministro della Cultura del Cantone di Sarajevo, Emir Hadžihafizbegović, che ha organizzato la presentazione, ha ricordato più laicamente che a Banja Luka non hanno proiettato neanche “Grbavica” (Il segreto di Esma), film bosniaco Orso d'oro al Festival di Berlino. A ognuno la sua storia, a ognuno i suoi film.

Consulta l'archivio