Angela Vode – Ricordi segreti
20.04.2009
Da Capodistria,
scrive Stefano Lusa
Una scena del film
Angela Vode, una delle prime attiviste del movimento comunista jugoslavo. Espulsa dal partito per le sue posizioni critiche, fu arrestata e messa ai margini della società. Dai suoi “Ricordi segreti” è uscito un film prodotto dalla tv slovena
Un buon film tratto da un ottimo libro. Angela Vode – Ricordi segreti racconta soprattutto della resa dei conti, nell’immediato dopoguerra, che il regime comunista mise in atto contro i “compagni di strada” che a quel punto potevano essere un ostacolo per l’instaurazione del “potere popolare”. All’epoca vennero, infatti, montati una sequenza di processi di stampo staliniano, che si conclusero con una serie di condanne a morte e con lunghe pene detentive.
Lo sceneggiato, prodotto da TV Slovenia ha visto la partecipazione di 50 attori e di ben 900 comparse. La regia è di Maja Weiss, uno dei primi filmaker sloveni ad avere successo all’estero. Il film è tratto dal libro Ricordi segreti di Angela Vode. La sceneggiatura è di Alenka Puhar, la stessa che nel 2004 curò la pubblicazione postuma del volume della Vode. La Puhar è stata, sin dagli anni Settanta, una delle voci più critiche della società socialista e negli anni Ottanta contribuì alla formazione dei movimenti civili in Slovenia.
Angela Vode (1892 -1985) aveva aderito al Partito comunista jugoslavo nel 1922. Era una delle prime attiviste del movimento. Tra le due guerre si batté per i diritti sociali dei lavoratori e soprattutto per quelli delle donne. Tra i suoi scritti anche un opuscolo dal titolo Sesso e destino in cui pone l’accento sulle diseguaglianze tra uomo e donna. Per le sue posizioni non mancò di suscitare l’ira dei clericali.
Nel 1939 la Vode venne espulsa dal partito comunista jugoslavo per le sue critiche all’intesa raggiunta tra la Germania nazista e l’Unione sovietica. Con l’invasione della Jugoslavia ebbe un ruolo anche nel plenum del Fronte di liberazione, ma lo strappo con il partito non fu mai ricucito. Nel 1943 venne arrestata dalla polizia italiana e rinchiusa in carcere a Lubiana per qualche settimana. L’anno successivo i tedeschi la deportarono a Ravensbrueck, Dove fu liberata dopo nove mesi di prigionia. Tornò a casa nel settembre del 1944.
Nell’immediato dopoguerra ricominciò a lavorare come insegnante, mentre i suoi ex compagni stringevano sempre più saldamente nelle loro mani le redini del paese. La sua espulsione dal partito continuò a pesare, ma ancora di più pesarono le critiche che non lesinava all’indirizzo del nuovo regime che si andava instaurando.
Venne arrestata nel maggio del 1947 assieme ad una trentina di persone. Si trattava perlopiù di democratici e liberali che avevano aderito al Fronte di liberazione sloveno (una sorta di CLN, su cui però sin dal 1943 il Partito comunista sloveno aveva preso il predominio anche formale). Si volevano fare i conti con una serie di “compagni di strada” che adesso davano fastidio. L’intenzione era quella di far capire che nessun deviazionismo sarebbe stato tollerato e soprattutto che la Jugoslavia era fermamente intenzionata ad instaurare un regime comunista senza dar spazio a chi sognava una democrazia di stampo “borghese”. Gli arrestati vennero immediatamente bollati come spie dell’occidente e nemici di classe.
Il processo ebbe un grosso impatto mediatico. Per coinvolgere la popolazione, nelle vie di Lubiana le sedute erano trasmesse con gli altoparlanti. Nei due mesi che avevano preceduto il dibattimento gli imputati erano stati duramente interrogati dagli inquirenti che tentarono di estorcere una serie di confessioni. L’intento era quello di dimostrare che si era tentato di creare una vera e propria rete per mettere a repentaglio la sicurezza dello Stato. In realtà nemmeno tutti gli imputati si conoscevano tra di loro. Il processo si concluse con 3 condanne a morte e con lunghe pene detentive per gli altri imputati. L’unico ad essere effettivamente fucilato fu il politico liberale Črtomir Nagode. Le autorità non vollero nemmeno riconsegnare alla famiglia il suo corpo.
In quel processo la Vode venne condannata a vent’anni di carcere ed alla perdita dei diritti civili. A nulla le valsero le conoscenze in alto loco che poteva vantare. Passò sei anni in carcere prima di venir graziata. Uscì nel 1953. Rimase ai margini della società. Trovò un lavoro di segretaria solo nel 1958, ma per lei era impensabile un reinserimento nella vita pubblica.
La sua vendetta contro il regime fu quella di lasciare in eredità le sue memorie. Il manoscritto, concluso nel 1971, fu affidato in custodia alla parrocchia di san Giacomo a Lubiana. L’intenzione era quella di farlo pubblicare dopo la sua morte.
Quella della Vode è la storia di un’idealista che ad un certo punto si rese perfettamente conto di essere “troppo poco radicale per la sinistra e troppo radicale per la destra”. La Vode, in fondo, pagava il fatto di voler pensare con la propria testa ed essere coerente con le sue idee. Il volume lascia poco spazio alla vita personale della protagonista. La stessa Vode ha preferito bruciare, prima di morire, i diari con i suoi appunti personali. Il volume descrive con schiettezza le prigioni del regime ed i contorti meccanismi psicologici usati dagli inquirenti e dai carcerieri.
Ricavare un film dal libro non era semplice. Il periodo narrato è quello che va dal 1929 al 1953. Si racconta, così, della sua attività politica, della rottura con il partito, della guerra, del campo di concentramento nazista, del periodo post bellico e soprattutto del carcere jugoslavo. Una scelta questa apparentemente rischiosa. Il pericolo era quello di scimmiottare Io confesso di Costa Gavras - film del 1970 che racconta un processo staliniano degli anni cinquanta montato contro un ministro ceco – o di presentare una realtà troppo in bianco e nero.
Né la regista, Maja Weiss, né la sceneggiatrice si sono fatte trascinare calcando la mano. Ne esce, così, un’interpretazione raffinata, dove attraverso la vicenda di una donna si racconta un pezzo di storia della Slovenia, ma non solo. La sceneggiatrice Alenka Puhar del resto ha precisato che l’intento era quello di girare “un film europeo” che avesse anche una “dimensione universale”. La speranza ovviamente è quella di farlo girare anche fuori dalla Slovenia.